Ogni martedì alle 20:30 sul Programma Nazionale (ovvero quella che dal 1976 sarebbe diventata Prima Rete Rai) dal 4 gennaio 1972 e per cinque settimane andò in onda uno sceneggiato che avrebbe fatto storia.
A come Andromeda di Vittorio Cottafavi rappresentava la grande entrée del genere fantascienza nella televisione italiana. Certo nel 1969 c’era stato Jekyll di Albertazzi (che attualizzava il classico ottocentesco) e nel 1971 i due episodi pressocché non visti da nessuno di Oltre il Duemila , ma niente di comparabile con lo sforzo produttivo messo in campo per tradurre il testo che Inisero Cremaschi – scrittore e curatore di programmi radio e tv – aveva adattato dallo sceneggiato inglese degli anni 60 scritto dall’astronomo Fred Hoyle e dallo sceneggiatore John Elliot.: A for Andromeda, mai arrivato da noi e i cui nastri la BBC aveva addirittura perduto per la sciagurata consuetudine di sovrascriverci su quando bisognava registrare un nuovo programma.
Per molti aspetti la versione di Cremaschi e Cottafavi coincide con quella originale, benché non manchino aggiustamenti e discrepanze, anche narrativamente sostanziali come la soppressione e l’introduzione di personaggi (per fare un esempio, la dottoressa Liz Ray è un’aggiunta) o il finale del tutto cambiato.
Ogni puntata dello sceneggiato inizia con “Questa storia si svolge in Inghilterra l’anno prossimo“. Definire vago questo futuro prossimo è un eufemismo. Ciò che invece è molto precisa è la location dove partono le vicende dei nostri protagonisti, presso l’osservatorio di Bouldershaw Fell, una località (inventata) dello Yorkshire alla vigilia dell’inaugurazione di un enorme telescopio. È allora che viene captato un segnale criptato dallo spazio proveniente dalla nebulosa di Andromeda. Il professor Fleming (Luigi Vannucchi), dell’equipe del dottor Reinhart (Tino Vaccaro), scopre che il messaggio contiene le istruzioni per costruire un supercomputer. Dopo aver realizzato l’elaboratore si scopre che lo stesso è stato ideato per creare una nuova forma di vita. La nuova creatura, con sembianze di donna con una intelligenza superiore, viene battezzata Andromeda.
Il successo dello sceneggiato fu clamoroso. Certo è vero che all’inizio degli anni settanta la scelta d’intrattenimento per il grande pubblico era quantomeno scarna, ma incollare quasi 17 milioni di spettatori a puntata resta un traguardo notevole e ora inimmaginabile (a meno che non si tratti di una finale mondiale con l’Italia protagonista… e quindi sempre di fantascienza si parla!)
In larga parte il successo di A come Andromeda è dovuto al cast straordinario dei protagonisti: con in testa Paola Pitagora nel ruolo della giornalista/spia Liz Ray e soprattutto Luigi Vannucchi, una spanna su gli altri nel regalare una performance che lasciò il segno. Il suo professor Fleming mostra una perfetta alchimia di inquietudine, entusiasmo, paura e malinconia ancora oggi perfettamente apprezzabile.
Le riprese di A come Andromeda iniziarono verso la metà di marzo del 1971 e furono effettuate negli studi Rai di Milano dove furono ricostruiti gli interni della base di Bouldershaw Fell e sulla costa settentrionale della Sardegna per gli esterni (adesso appare un po’ naif il tentativo di spacciare un paesaggio sardo per scenari nord-atlantici).
La produzione attraversò una serie di traversie, tra le quali la più importante e curiosa ebbe a che fare con la sostituzione ‘in corsa’ di Patty Pravo scelta per la parte della creatura spaziale Andromeda. La Pravo girò le sue scene per un mese esatto, poi il 19 aprile decise di ritirarsi allegando alla domanda di rinuncia anche un certificato medico, in cui esponeva le sue ragioni. Alla Rai non ci si perse d’animo e venne immediatamente scritturata l’emergente attrice ventisettenne Nicoletta Rizzi. Ovviamente Cottafavi dovette girare da capo tutte le scene in cui compariva la cantante, e la troupe – Rizzi in testa – fu sottoposta a turni massacranti di più di dieci ore ininterrotte di lavoro al giorno.
È interessante leggere le parole della stessa Pravo così come riportate da un’intervista di Attilio Neri su “Bolero-Teletutto” del 2 maggio 1971.
“Andromeda era il ‘mio’ personaggio, era la… come dire… la sorella, o meglio ancora l’anima gemella di Patty Pravo. Andromeda, personaggio fantascientifico, irreale, era il mio ‘io’ riflesso: estrosa, stravagante, incostante, turbolenta, amabile anche… Ho vissuto quasi un mese in un mondo colorito… di fiaba irrealizzabile. Ero entusiasta, credimi. L’aspirazione a far qualcosa che m’imponesse al pubblico al di fuori del canto, mi dava i brividi. Ero sicurissima di farcela. […] Andromeda era tutto per me. Ero entusiasta letteralmente della scelta fatta da Cottafavi, il regista. Ma… come un bel sogno… l’entusiasmo è durato poco. I primi dolori, le prime emicranie: i postumi dell’operazione subita due mesi fa iniziavano a far capolino. Avrei dovuto riguardarmi. E invece, no. Macché riposo! Non volevo sentir ragioni. Mi imbottivo di calmanti per lenire i dolori, prima di recarmi negli studi televisivi. E poi non era tutto: serate, conferenze stampa, dischi… Insomma, mi sentivo ammattire. Ma è arrivato il giorno, triste grigio giorno. Non ero capace di tenere gli occhi aperti. Ho chiamato il medico. Visita accurata, medicine… Accidenti che roba amara dovevo ingoiare! E… un mese di assoluto riposo… Così ho scritto alla RAI… e questa è storia di oggi…”
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