Quentin Tarantino compie 60 anni. Nonostante nove film e tre decadi di carriera, il regista di Pulp Fiction resta un fenomeno curioso e irrisolto. Tarantino non è Bergman. Più che uno da isola deserta e riflessioni solitarie, è il tipo che scrive un libro dove racconta (anche) come è diventato il più cool dei cinefili della sua generazione. In Cinema Speculation, edito in Italia da La Nave di Teseo e disponibile dal 21 marzo, fa questo. E più racconta, più vorremmo sapere. È un saggio di critica cinematografica, un’autobiografia e una lezione allo sguardo. Tarantino è un prodotto dei film con cui è cresciuto, e ancor di più dei ricordi delle prime sensazionali sere nei cinema di Hollywood. I film che ama li cita continuamente. Il suo cinema vive della storia di quest’arte, o almeno della parte che interessa a lui. L’esperienza in sala, invece, è ancora un tentativo di rievocazione che affronta a ogni nuovo progetto. Perché irripetibile, legata a momenti e luoghi nel frattempo scomparsi.
A sette anni il piccolo Quentin conosce due cose: il cinema e gli adulti. “Cazzo se era eccitante essere l’unico bambino in un cinema pieno di adulti, vedere un film da adulti e sentire che tutti ridevano per una battuta che di solito sapevo essere sporca. E a volte, anche quando non la capivo, ci arrivavo lo stesso”. Il giovane Tarantino è un etologo. Studia il dialogo incessante tra le immagini che scorrono e quel popolo esuberante e numeroso che le giudica. Il pubblico tra fine anni ‘60 e inizi ‘70 parla con il cinema, quando non ci sbraita contro. Con il naso rivolto verso La guerra del cittadino Joe di John G. Avildsen, Tarantino scopre che uomini e donne, avvolti nel buio della sala, si lasciano andare. Sono vivi e un po’ più veri. Sono brutti, a seconda del cinema e della zona omofobi o razzisti, ma anche liberi di ridere e discutere, di urlare a un telo bianco che sembra rispondere.
Cinema Speculation è una collezione interessante di sguardi sul pubblico. Al Tiffany di Sunset Strip, dove la nuova Hollywood attendeva di diventare sistema, lo portano la madre e i vari compagni che si susseguono, purché stia buono e zitto. “La regola era non fare domande stupide durante il film”. I dubbi li risolve da solo, guardandosi attorno, capendo che i film attraversano la massa e il singolo in maniera differente.
Di The Bus is Coming racconta che la gente in sala passò gli ultimi tre quarti d’ora a urlare parolacce agli attori sullo schermo. “Le ingiurie rivolte ai personaggi diventavano sempre più oscene, e a ogni minuto che passava il pubblico sembrava raggiungere nuovi livelli di disprezzo, inventando insulti sempre più coloriti”. Vedendo Agente 007 – Una Cascata di Diamanti parla di un pubblico complice di ogni battuta pronunciata da Sean Connery, un po’ come le reazioni della sala a Clint Easwtood in Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!.
“Avevo visto tanti tipi di pubblico diversi reagire a tanti film diversi”, racconta. Tarantino scopre il cinema attraverso gli spettatori. Per questo è Tarantino: un cinefilo cresciuto tra la sala e montagne di vhs, che non condivide la coolness degli eroi che ama, come Paul Newman, ma conosce il pubblico quasi quanto la storia del cinema, e proprio come Steve McQueen sa cosa fare per parlarci. I suoi film nascono per sale piene. Le stesse in cui si è forgiato. Nascono per la reazione, la risposta, l’insulto. Nascono, insomma, per un’epoca diversa, che ogni tanto sembra tornare: “Ho passato la mia vita cercando di ricreare l’esperienza di vedere l’ultimo film con Jim Brown un sabato sera del 1972 in un cinema frequentato solo da neri”.
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