10 anni senza Enzo Jannacci: “da attore, lo spazio era suo”

Il regista di 'Un giorno fortunato' racconta l’amico e l’artista


Geniale, poliedrico, unico. Pur se associato quasi sempre alla musica o alla medicina, Enzo Jannacci si è cimentato in ogni possibile forma di spettacolo. A dieci anni dalla sua scomparsa – il 29 marzo del 2013 – è ancora impresso nella memoria del grande pubblico con i suoi quasi 30 album, pietre miliari della storia della canzone italiana. O per i suoi formidabili brani, eseguiti da solo o in duetto con Paolo Conte, Dario Fo o Giorgio Gaber. O ancora per quelli scritti per Cochi e Renato, che a loro volta li hanno cantati e ri-cantati. Considerato uno dei pionieri del cabaret e del rock and roll italiano, Jannacci è anche uno degli artisti con il maggior numero di riconoscimenti da parte del Club Tenco.

Tutto questo mentre la sua ‘vera’ professione resta, fino alla pensione, quella del medico di base e cardiochirurgo pediatrico, esercitata perfino negli Stati Uniti e in Sudafrica, nel team del mitico professor Barnard.

Ma Jannacci è anche autore, regista e attore teatrale, direttore artistico dei locali milanesi più in voga dagli anni ’60 ai ’90 (come il Derby e il Bolgia Umana), e ancora autore e attore per il cinema e la tv: ebbene sì, proprio quella ‘televisiùn’ che ama cantare mettendola abilmente in crisi in quanto tale.

“Enzo è stato davvero il mio vate, ho passato almeno 10 anni della mia vita attaccato a lui, con tutte le persone legate al Derby, come Abatantuono, Teocoli…” racconta Massimo Martelli, autore e regista. È sua la miniserie Un giorno fortunato, andata in onda nel 1997, con Fabio Fazio, Claudio Bisio, Antonio Catania, e dulcis in fundo, Enzo Iannacci. “L’ho conosciuto in quel giro lì, lui era molto amico anche di Fabio Fazio, con il quale poi io ho lavorato per trent’anni…”.

“Enzo si piccava di essere un grande medico – continua Martelli – chiunque di noi lo chiamava per delle cure, poi però nessuno le seguiva mai, perché non ci fidavamo molto… (ride). Ma quando ho scritto la miniserie con Disegni e Caviglia e Marco Videtta, a loro l’ho detto subito: “prendiamo lui! E appena gliel’abbiamo proposto, Enzo era l’uomo più felice del mondo, perché finalmente al cinema non faceva la parte dello stralunato o del matto, ma quella – secondo lui – di se stesso, del medico. Anzi, del primario. Al punto che nella conferenza stampa, mentre tutti sono contenti per la messa in onda e c’è un sacco di gente, con Fazio, Bisio e gli altri… un giornalista fa la domanda: “come è entrato nella parte del medico, Enzo?” E lui, per almeno un’ora e mezzo, parla di un nuovo intervento a cuore aperto che in quel momento si fa non so dove, in non so quale ospedale nel mondo… Giuro, non scherzo, un tempo infinito. E la conferenza si chiude così, con Enzo che continua a parlare solo di questa operazione al cuore, presissimo, e noi tre che ridiamo come dei bambini”.

E poi com’è andata? Com’era Jannacci sul set?

Era molto affascinato dal ruolo, che poi era la sua vera professione nella vita: è la cosa che più ha amato di quell’avventura. Gli piaceva tenere sempre il camice bianco e girare nel finto ospedale – continua Martelli – Gli piaceva, quando c’era nella sceneggiatura qualcosa riguardante una parte che avesse a che fare con la medicina, intervenire a correggerla per dire no, non è così, è cosà… Ma soprattutto, la cosa che posso dire è che quando sul set c’era Enzo, il mondo, lo spazio, era suo. Questa è la cosa più bella di quel periodo, di quelle dieci settimane che abbiamo passato insieme per le riprese. Perché veramente avendo nello stesso spazio, nello stesso luogo, Enzo… capivi che quello spazio, quel luogo, era nella sua interezza soltanto suo: tu eri solo uno spettatore, in quel momento. Perché era una persona che ti poteva far ridere e dopo un minuto… far pensare: un artista vero. Io ne ho conosciuti pochi come lui – chiosa Martelli – Ho avuto la fortuna di lavorare con tutti o quasi in quel periodo, ma devo dire che Enzo è il più vicino al genio”.

Non doveva essere una persona facile…

No, assolutamente. Era molto complicato entrare nel suo mondo, nella sua testa, perché come tutti i geni non era una persona facile. E poi era anche un inventore, e come tutti gli inventori era molto curioso e quando incontrava delle persone curiose si attaccava a loro. Era un uomo che secondo me ha dato tanto. Io lo dico sempre, se Stanlio e Ollio hanno dato tanto alla commedia, Enzo Jannacci ha dato moltissimo a tutto quello che è il surreale, tutto ciò che va dal demenziale a un certo tipo di comicità così… l’ha inventata lui. Insomma se oggi esistono comici come Lundini – parlando di quelli dell’ultima generazione – è grazie a Enzo Jannacci“.

Ma qui siamo a Cinecittà, perciò torniamo a parlare di Jannacci e il cinema:

Il suo esordio arriva nel 1964, con La vita agra di Carlo Lizzani, tratto dal romanzo di Bianciardi, amico e autore di Enzo Jannacci: il tempo di cantare una canzone, col suo sguardo stralunato, in una scena con Ugo Tognazzi (col quale farà altri quattro film: L’Udienza, Romanzo Popolare, Scherzo del destino in agguato all’angolo come un brigante di strada. Nei primi anni Sessanta aveva scritto anche le musiche di tre cortometraggi di Bruno Bozzetto Alpha Omega, Il signor Rossi al mare, Il signor Rossi a sciare. Poi compare di nuovo in scena, in Questi pazzi, pazzi italiani! (1965) e in Quando dico che ti amo (1967. Nel 1970 Mario Monicelli lo sceglie per un l’episodio del suo Le coppie, in cui è Monica Vitti a duettare con Jannacci. Due anni dopo, Marco Ferreri lo vuole in quello che sarà il suo unico film da attore protagonista: L’udienza (1972). Jannacci è un ufficiale in congedo che cerca invano di avere un colloquio con il Papa, in una satira drammatica del Potere e del Vaticano. Con Monicelli torna a lavorare nel 1974, in Romanzo Popolare, come dialogista e compositore della colonna sonora. Inizia un’attività da autore cinematografico, portando lo slang milanese a linguaggio artistico, e negli anni ‘70 scrive i dialoghi di altri film minori, di cui sarà solo sceneggiatore. Tra il 1975 ed il 1978 compone le musiche di otto film interpretati da comici che lui stesso ha lanciato (Teo Teocoli, Massimo Boldi, Cochi e Renato Pozzetto) e la notissima colonna sonora di Pasqualino Settebellezze (1975) di Lina Wertmuller: Quelli che  (il film nel 1976 otterrà la nomination all’Oscar). Saxophone (1978), esordio alla regia di Renato Pozzetto, è invece il film in cui termina la carriera di sceneggiatore. Quella di attore continua negli anni Ottanta, con il ruolo di un pagliaccio ne Il mondo nuovo (1982) di Ettore Scola. Poi torna a lavorare con la Wertmuller, stavolta solo come attore, in Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante di strada (1983). Tra gli anni ‘80 e ‘90 al cinema torna quasi soltanto da compositore, spesso per film diretti da amici (Papà dice messa, Il volatore di aquiloni di Renato Pozzetto,) o figli di amici (Piccoli equivoci di Ricky Tognazzi), mentre recita in Figurine (1997). È ne La bellezza del somaro di Castellitto (2010) che torna a fare l’attore, interpretando il vecchio e saggio Armando (come il protagonista della canzone scritta con Dario Fo), fidanzato della figlia sedicenne di una coppia borghese in crisi.

E chiudendo con il ricordo più fresco di Enzo Jannacci, per chi ancora la canta sotto la doccia la poesia pura della sua struggente El purtava i scarp del tennis… quel che era solo musica si è fatto materia: la sua vicinanza agli ultimi del mondo, cantati in tanti suoi storici brani, vive ogni giorno nel dormitorio milanese (foto sotto) che porta il suo nome. Tenuto a battesimo sette anni fa dal figlio Paolo (Jannacci), grande musicista anche lui, Casa Jannacci regala un letto a tutti i barbùn che altrimenti… sarebbero finiti all’idroscalo.

autore
29 Marzo 2023

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