David Grossman: “Descrivere il conflitto con parole nuove”

Più di 500 persone, molti giovani e giovanissimi, allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia, hanno seguito gli incontri della Diaspora degli Artisti in Guerra. Tra questi un serrato dialogo tra Margaret Mazzantini e lo scrittore israeliano


Più di 500 persone, molti giovani e giovanissimi, allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia hanno riempito le sale di via Tuscolana per la Diaspora degli Artisti in Guerra, la tre giorni dedicata ad artisti, cineasti, scrittori provenienti dai luoghi attraversati dal conflitto con incontri, proiezioni e una mostra fotografica, oltre a un film che gli studenti stanno girando.

“Le tre parole del titolo, diaspora, artisti, guerra, sono state ascoltate con un entusiasmo, un’attenzione e un bisogno che mi hanno emozionato profondamente – ha detto il presidente Sergio Castellitto – è la prima volta che la scuola di cinema più antica del mondo apre le sue porte al pubblico”.

Tra gli appuntamenti più seguiti, in un Teatro Blasetti tutto esaurito con molti autori seduti accanto ai ragazzi (tra loro Gabriele Muccino, Alba Rohrwacher, Mimmo Calopresti, Francesca Comencini, Francesca Calvelli, Giovanna Gagliardo), si è svolto il dialogo tra due scrittori amici, Margaret Mazzantini e David Grossman. Un dialogo intenso, sincero, a tratti commovente, che ha toccato questioni teoriche ma anche preso di petto la drammaticità della guerra che insanguina Israele e la Palestina.

La necessità del negoziato

Margaret Mazzantini ha teneramente incalzato lo scrittore israeliano, ha posto interrogativi e ha lanciato provocazioni: “Se per un assurdo gioco chiudessi gli occhi, e fossi una giovane donna incinta nei vostri territori, e dovessi decidere dove far nascere mio figlio oggi, se in Israele o in Palestina, direi senza dubbio in Israele, perché mentre per Israele si può immaginare un futuro, per la Palestina proprio non si riesce a vederlo. Perché il problema delle macerie non è sgombrarle, ma quello che è rimasto sotto.  Secondo te chi camminerà sopra queste macerie?”. Grossman ha risposto: “La rappresaglia israeliana che è seguita all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, penso sia stata sbagliata. Ma è umano reagire: se qualcuno mi dà uno schiaffo per strada io, istintivamente, glielo rendo. Però dopo questo istinto di vendetta, che è umano, il problema è chiedersi se ha senso continuare questo circolo vizioso in eterno. O se invece non bisogna cercare di usare questa sorta di trauma collettivo subìto da entrambe le parti per superarlo. Se io fossi il braccio destro di Netanyahu, convocherei tutti i capi palestinesi per cercare un negoziato che ponga fine a questa guerra: è molto più facile attaccare e arrendersi alla vendetta”.

Sergio Castellitto ha aperto l’incontro presentando sua moglie Margaret e lo scrittore israeliano: “Due persone che conosco molto bene, non solo Margaret ma anche David, per i suoi libri e l’impegno che mette ogni giorno della sua vita. Vi lascio con le parole della poetessa Cristina Campo: Se ancora due persone incontrandosi si inchinano l’uno all’altro allora la civiltà è salva”.

“Sei amato in tutto il mondo e in Italia amatissimo, non soltanto per la tua opera ma per come sei come essere umano. Spesso gli scrittori si nascondono dietro la loro opera, tu invece ti sei sempre esposto, senza alcuna vanità, tu fai parte della categoria degli scrittori che vivono affacciati a una finestra”, ha esordito l’autrice di Non ti muovere e Nessuno si salva da solo.

“Ho attraversato il cortile del Centro Sperimentale e ho visto i giovani che parlavano, prendevano il sole e giocavano, un’esperienza che ai loro coetanei israeliani è negata perché a 18 anni devono fare il servizio militare, sono stato quasi invidioso”, ha risposto subito Grossman.

Mazzantini ha ricordato come l’autore, nato a Gerusalemme nel 1954, abbia dedicato un libro, A un cerbiatto somiglia il mio amore (2009), alla perdita di un figlio, caduto in Libano. “Ci ho messo molto tempo a scrivere quel libro, tre anni e mezzo, ho avuto un blocco a un certo punto, non riuscivo a capire il personaggio principale, una donna di 50 anni, madre di due figli, che vengono mandati a combattere durante la guerra dei Sei Giorni. Lei sa che deve arrivare una brutta notizia, ma non la accetta, la sfugge. Ad un certo punto ho scritto una lettera a questo personaggio e in quel momento ho capito che non era lei a doversi arrendere e me, ero io che dovevo arrendermi a lei, affinché potesse penetrare nella mia anima. Dopo la Shiva, i sette giorni del lutto, ero tornato nel mio studio ma non riuscivo a lavorare, poi piano piano è accaduto. Noi creativi siamo fortunati ad avere la possibilità di dare una forma a ciò che viviamo”.

Mazzantini attinge ai ricordi di una lunga amicizia: “Mi hai raccontato che i tuoi figli andavano a scuola su autobus diversi in caso ci fosse stato un attentato. Ma quando sono andata in Israele, qualche anno fa, mi aspettavo un paese militarizzato, invece ho trovato un paese vitale, pieno di gioia di vivere. Oggi questa vitalità si è spenta?”.

“Negli ultimi otto mesi – risponde l’autore di Che tu sia per me il coltello – dopo il massacro del 7 ottobre e la rappresaglia, le persone hanno incubi, problemi digestivi, sono angosciate. Noi generiamo crudeltà, sia in Israele che in Palestina, abbiamo imparato la chiusura in noi stessi perché la realtà che ci circonda è insostenibile. Penso che i bambini vadano educati alla democrazia, al pluralismo, alla pace, non all’odio”.

Ai giovani dico: non diventate cinici

E prosegue: “La corruzione è connaturata nell’essere umano ed esiste dalla notte dei tempi, ne parla già il profeta Isaia. Oggi Donald Trump è l’emblema della corruzione nella nostra società, il re supremo della manipolazione. Se posso dare un consiglio ai giovani, dico di non diventare cinici e sarcastici, avvelenate voi stessi e l’ambiente circostante”.

Gli intellettuali tacciono, sono vili, denuncia Mazzantini. “Bernard-Henri Lévy è un intellettuale che si butta anima e corpo nelle cose e non si arrende, questo è il ruolo dell’intellettuale – risponde Grossman – Quando uno scrittore si occupa di una situazione di conflitto, tra due Stati come tra un uomo e una donna, se fa lo sforzo di cambiare leggermente la propria narrazione, questo porta una visione diversa. Nel caso di Israele e Palestina se continuiamo a descrivere la situazione come si è sempre fatto rimaniamo bloccati, mentre compito dello scrittore e del regista è descrivere il conflitto con nuove parole, senza temere che questo affievolisca la propria identità, perché invece la arricchisce. Non bisogna credere che l’abbrutimento che porta con sé il conflitto sia una cosa temporanea, il nemico fa da specchio delle nostre caratteristiche peggiori”.

Chi è per te Hitler oggi? chiede Mazzantini. “Il primo nome che mi viene in mente è Yahya Sinwar, il leader di Hamas a Gaza, che ha fatto 1.400 vittime tra i civili israeliani mentre dormivano. Sono stati massacrati, bruciati, violentati per il solo fatto di essere ebrei. La rappresaglia israeliana è stata sbagliata, però è una reazione umana. Ma continuare in questo circolo vizioso in eterno non ha senso. Se fossi il braccio destro di Netanyahu convocherei tutti i capi palestinesi per un negoziato. Nessuno può uscire vincitore da questa guerra, siamo condannati tutti a seppellire i nostri figli. Oggi Israele è più forte, ma stiamo crescendo una generazione di persone che sono condannate a morte e non potremo vincere la prossima guerra, se i paesi arabi si alleano. Gli israeliani dovrebbero capire che sarebbero i primi a trarre beneficio da un negoziato”. E ancora: “Se non si risolve il problema del popolo palestinese non ci sarà pace”.

20 Giugno 2024

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