‘Zero’, prima serie italiana con interpreti neri

‘Zero’, prima serie italiana con interpreti neri


“Quando ho iniziato a scrivere questa serie riflettevo sul fatto che in Italia non c’è una cultura di attori o registi neri. Abbiamo visto che ci sono, esistono e bisogna coinvolgerli. Credo che Zero sia la prima finestra verso una rappresentazione migliore del Paese” parla così Antonio Dikele Distefano presentando la nuova serie Netflix da lui ideata.

Prodotta da Fabula Pictures con la partecipazione di Red Joint Film racconta di un rider che diventa un supereroe.

Disponibile dal 21 aprile in tutti i 190 territori internazionali di diffusione, è la storia di un ragazzo  – Giuseppe Dave Seke, al suo debutto assoluto – che impara a conoscersi, a fidarsi di sé stesso; è una storia d’amore, di crescita, di fantasia e allo stesso tempo di normalità. “Per me è stato assurdo all’inizio, non avevo mai fatto l’attore”, spiega Dave Seke.”Abbiamo passato il lockdown insieme in un albergo per tre mesi con gli altri attori, ho trovato amici autentici, ognuno supportava l’altro”.

Zero è diretta da Paola Randi, Ivan Silvestrini, Margherita Ferri e Mohamed Hossameldin. Composta da 8 episodi racconta la storia di un timido ragazzo con un superpotere: può diventare invisibile. Non è un supereroe, ma un eroe moderno che impara a conoscere i suoi poteri quando il Barrio, il quartiere della periferia milanese da dove voleva scappare, si trova in pericolo. Zero dovrà indossare gli scomodi panni di eroe, suo malgrado e, nella sua avventura, scoprirà l’amicizia di Sharif, Inno, Momo e Sara, e forse anche l’amore.

Ricorda Antonio Dikele Distefano, autore di Non ho mai avuto la mia età (Mondadori), il libro a cui si ispira l’opera tv: “Quando ho iniziato a pensare alla serie mi chiedevo: Io sono un grande amante dei manga; mi sono detto: ma tu pensa a un supereroe nero italiano! Il discorso dell’invisibilità è una metafora. In Italia, abbiamo bisogno di normalità: non di eccezionalità. Domani un ragazzo deve poter guardare Zero perché si rivede nel protagonista, perché si riconosce in quello che fa, in quello che prova. E deve riconoscerlo in quanto persona, non per il colore della sua pelle: parlare di integrazione è anche riduttivo, hanno accenti veneti, milanesi”. 

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19 Aprile 2021

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