Dopo gli applausi della sala e una positiva attenzione stampa all’ultima Biennale College del Festival di Venezia, dove ha avuto la sua prima mondiale, arriva ad Alice nella Città Zen sul ghiaccio sottile, film d’esordio di Margherita Ferri, ex allieva del CSC. Un’anteprima italiana che arriva a ridosso dell’uscita in sala, da giovedì 8 novembre con Luce Cinecittà, preceduta da una serie di ulteriori anteprime che porteranno il film in altre piazze tra cui Milano, Bologna, Genova, Torino. Il film è il progetto italiano vincitore della Biennale college 2017, che aveva ricevuto anche una menzione speciale al Solinas.
Un racconto di formazione, un viaggio alla scoperta di sé in quel periodo di profonda trasformazione che è l’adolescenza, che esplora l’immaginario sul tema dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale nella provincia italiana. Girato tra l’Appennino modenese e bolognese, il film racconta la storia di due ragazze adolescenti che, per motivi diversi, soffrono la quotidianità del piccolo paese. “Ho sempre voluto ambientare la storia in un posto isolato- sottolinea la regista – all’inizio era una generica montagna e non territorio specifico, ma poi i produttori di Articolture mi hanno chiesta di ambientarla nel nostro Appellino Emiliano, bellissimo e dimenticato. A livello autoriale mi interessa portare avanti un discorso sul paesaggio emotivo, analizzare la relazione tra i personaggi e i luoghi in cui vivono, approfondire come il paesaggio divenga parte del carattere di un personaggio”.
Una piccola comunità di montagna, isolata e aspra, fa da sfondo ai turbamenti di una sedicenne riottosa e solitaria, Maia (detta Zen), un vero maschiaccio, unica componente femminile della squadra di hockey locale, per questo incompresa e bullizzata dai propri coetanei. La vita per lei è piuttosto dura sia in pista che fuori, ma l’incontro con l’intrigante Vanessa, la ragazzina perfetta e popolare, fidanzata del capitano della squadra di hockey dove anche Maia gioca, la mette per la prima volta a stretto contatto con un’altra ragazza, apparentemente diversissima. Il tempo che si troveranno a trascorrere insieme porterà entrambe a sfuggire ai ruoli che la comunità le ha forzate a interpretare. Entrambe iniziano così un percorso alla ricerca della propria identità e sessualità, liquide e inquiete come solo l’adolescenza sa essere.
“Zen-sul ghiaccio sottile parla proprio del fragile confine tra il voler appartenere a un gruppo e l’essere se stessi senza condizionamenti. Il film, infatti, racconta il disagio e le lotte che deve affrontare chi non si conforma ai ruoli di genere e all’eteronormatività imposta dalla nostra società”, continua Margherita Ferri che ha già pronta la sceneggiatura per un altro progetto sempre a tema LGBT+. Nel corso del film i cambiamenti legati al dipanarsi dei conflitti interiori della protagonista vengono ulteriormente sottolineati visivamente da immagini di repertorio di iceberg che si sgretolano, una partitura musicale che accompagna i moti emotivi di Maia e il suo percorso alla ricerca di se stessa.
Ad interpretare il film un cast interamente composto da attori non professionisti o alla loro prima esperienza sul set, selezionati tramite due percorsi paralleli: uno di casting tradizionale per la scelta delle due protagoniste (le brave Eleonora Conti e Susanna Acchiardi), un altro legato a un percorso di laboratori nelle scuole locali destinato agli altri interpreti, come racconta la regista che è anche una delle poche presenze femminili in questa edizione della Mostra e che sul tema della parità di genere nell’industria cinematografica sottolinea come il pregiudizio culturale nel settore parta sin dalla formazione: “La disparità di genere è un tema che ha accompagnato la mia carriera, sin dalle iscrizioni al Centro Sperimentale dove ero in nettissima minoranza. In molte non pensano neanche di provare a fare un lavoro riconosciuto come tradizionalmente maschile, come la regista o la direttrice della fotografia. Anche quando, poi, si entra nel mondo del lavoro, le produzioni tendono per alcuni ruoli a preferire uomini, chissà perché ritenuti più affidabili. Similmente i produttori, che sono la maggior parte uomini, spesso scelgono registi e sguardi maschili. In questo modo arriva al mondo solo un tipo di visione, mentre c’è bisogno dello sguardo di tutti, anche dei registi di seconda generazione, che sarei molto interessata a vedere all’opera”.
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