Un nuovo appuntamento allo Spazio Antonioni di Ferrara, dal titolo Bruce Davidson / Zabriskie Point. I volti dell’America dal 12 dicembre al 4 maggio 2025, racconta l’incontro sul set del film Zabriskie Point del grande fotografo con uno dei padri della cinematografia moderna, il regista Michelangelo Antonioni.
Approdato negli Stati Uniti nel 1968 per ritrarre un paese che incarnava l’essenza del suo tempo, Antonioni sceglie Bruce Davidson come fotografo di scena. A accomunare il loro lavoro è la vocazione a scrutare nelle pieghe della realtà senza preconcetti, regalando all’osservatore uno sguardo incantato e al tempo stesso consapevole su un mondo denso di luci e ombre. Accanto ad Antonioni, che considera “il più grande regista con cui abbia mai collaborato”, Davidson trova ispirazione per alcuni dei suoi scatti più memorabili.
Entrato nella leggendaria agenzia Magnum nel 1958, dopo aver conosciuto Cartier-Bresson a Parigi, Davidson ha messo in campo, sin dalla prima produzione, una straordinaria capacità di addentrarsi nei territori che appaiono meno familiari facendo emergere, anche dai soggetti più degradati, una dignità morale ed estetica. Le sue foto rivelano, tra splendore e solitudine, l’universo delle bande giovanili, dei circhi, dei movimenti per i diritti civili, dei ghetti di Harlem, dei minatori gallesi, della vita nelle metropolitane. Come altri fotografi Magnum, Davidson si è misurato anche con l’immaginario cinematografico, accettando la sfida di giocare sul terreno scelto da un regista. I suoi scatti ci hanno lasciato immagini inattese di icone come Marilyn Monroe. Il fascino della settima arte lo ha coinvolto fino al punto di impegnarsi egli stesso alla produzione di documentari.
Il reportage che Davidson dedica a Zabriskie Point è considerato uno dei servizi magistrali della storia delle foto di scena. Il soggetto del film di Antonioni propone un viaggio nell’universo giovanile delle controculture, ma è anche l’occasione per esplorare le dimensioni affascinanti e contraddittorie che l’ambiente americano esprimeva e in cui si riconoscono tratti ancora attuali.
Sui set del film il fotografo statunitense trova materia infinita per dare un volto indimenticabile a ciascuna di queste sfaccettature. Ritratti, vedute di Los Angeles, paesaggi lunari della Death Valley restituiscono il mosaico composito di una società dove convivono il mito del benessere e l’evasione nel selvaggio West, la violenza e la repressione, le architetture più avveniristiche e una natura quasi primordiale. Prolungando lo sguardo oltre il consueto, con una sensibilità capace di accogliere e trasfigurare, la realtà più comune si rivela nella sua inattesa poesia e il paesaggio più solitario si sublima in un’opera d’arte ai limiti dell’astrazione. Un altro affascinante punto di tangenza tra Antonioni e Davidson è proprio in questa affinità con le ricerche visive che interrogano le proprietà della materia, sia essa il piano riflettente di un vetro o l’asperità di una roccia desertica.
Prosegue così all’insegna del dialogo tra le arti la programmazione del nuovissimo spazio museale inaugurato a giugno 2024: un luogo di scoperta dall’opera del grande cineasta ferrarese e delle intense relazioni che ha stabilito con l’arte e la cultura di ieri e di oggi. (gp)
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