‘Yannick’ si alza dalla platea, interrompe lo spettacolo teatrale e prende il controllo

​L’anteprima del film di Quentin Dupieux, in Concorso Internazionale: Raphaël Quenard, il protagonista, ha le doti di un astro nascente e la storia è espressione di epigrafica sincerità sulla società


LOCARNO – “Il 99% dei film sono noiosi. Questo no”, così si legge nelle Note di Regia, di cui è autore Quentin Dupieux.

Il cornuto in scena, una commediaccia o una commediola, roba di poco conto insomma: di fronte, naturalmente, una platea, da cui Yannick – anche titolo del film – all’improvviso si alza, interrompendo lo spettacolo; si ribella insomma e da lì prende il controllo della serata.

Il suo autore – della sceneggiatura e dietro la macchina da presa – è Quentin Dupieux appunto e Yannick si presenta con una personalità che conferma quella del padre artistico e di certe sue opere culto, come Daaaaaali! e Wrong, di cui questo film, in anteprima assoluta a Locarno e nella selezione del Concorso Internazionale, non si dimostra essere fratello minore, ma forse anzi il “figlio” più maturo dell’autore francese.

C’è ferocia e c’è malinconia, c’è la personalità attoriale di Raphaël Quenard che non interpreta Yannick ma è Yannick, tanta è l’energia con cui esprime il personaggio: la vicenda, quindi necessariamente il protagonista, è lineare quanto inattesa, vitale e acuta: Yannick è una storia sulla mancanza dell’ascolto quale espressione di disponibilità alla cura, dunque in senso assoluto sulla mancanza d’amore e sull’effetto dal potenziale drammatico che questa carenza potrebbe causare.

Tre attori (Pio Marmaï, Blanche Gardin e Sébastien Chassagne) recitano sul palco di un teatro, quando un parcheggiatore, Yannick appunto, che ha preso la giornata libera per assistere allo spettacolo, reagisce istintivamente di fronte a ciò che a lui arriva addosso come repellente, tanto che in un passaggio precisa “…ho già una vita di merda”, con quel “già” rafforzativo, a dire che a quel feto quotidiano, l’arte in scena ne stia sommando altrettanto.

Dupieux fa un saggio e intrigante gioco tra teatro inteso come scena e la vita, quando questa prende le sembianze di uno spettacolo, ribadendo così come l’arte possa essere un riflesso, distorto oppure nitido, della società e/o dell’individuo. Dupieux sa spingere e ribaltare le situazioni, e qui lo conferma: lo spirito del racconto, anche quando le punte si fanno più drammatiche, non perde il senso del ludico, non precipita mai nel buio dello spirito.

Così, il teatro, in quanto spazio di racconto e intrattenimento, si fa spazio nello spazio, aprendo all’interno della rappresentazione dello spettacolo uno spaccato della società contemporanea, perché il personaggio interpretato da Quenard, ma anche le altre “maschere” in campo, sono la personificazione della solitudine corrente, un isolamento che fa rima con l’impossibilità di esprimersi e quindi di essere ascoltati, una frustrazione che è dolore ma anche rabbia, facendo così assumere la fisionomia a una polis delle emozioni che – innestate tra spaccature culturali e gabbie sociali – non difficilmente può degenerare in comportamenti troppo istintivi, prossimi all’aggressività e alla violenza, quando non sinonimi.

Yannick è un istrione della scena reale, che parla apertamente a un pubblico di individui molto probabilmente più prossimi al suo sentire di quanto non sembri, innescando così la scintilla di un interruttore cerebrale collettivo, in cui appropriandosi di elementi finzionali della scena – dal computer alla pistola – stabilisce un contatto empatico diretto con gli altri esseri umani.

Yannick, con le sue parole, strappa alla società le vesti borghesi dell’apparenza o dell’indifferenza e la lascia nuda nella sua desolazione di essere soggetto senza capacità di fare tesoro del potere del dialogo.

È una commedia Yannick, non mancano ironia e tenerezza, ma Dupieux, altrettanto, non zucchera la pillola e nei punti giusti si spinge oltre l’essere scomodo, senza disdegnare il mordace. Il film di Dupieux è espressione di epigrafica sincerità sulla società corrente.

Le vendite internazionali del film sono a cura di Kinology, che nel suo listino include anche DogMan di Luc Besson e The Beast di Bertrand Bonello, entrambi in Concorso alla Mostra di Venezia.

Nicole Bianchi
03 Agosto 2023

Locarno 2023

Locarno 2023

Locarno: eletto nuovo cda, Maja Hoffmann presidente

Hoffmann è stata ufficialmente confermata presidente del Locarno Film Festival, mediante il voto dell’Assemblea sociale straordinaria e del nuovo Consiglio di amministrazione

Locarno 2023

Locarno, i numeri eccezionali della 76ma edizione

La 76ma edizione del Locarno Film Festival ha visto 146.930 spettatori totali nelle proiezioni proposte, con un incremento del 14.3% rispetto al 2022

Locarno 2023

Tra ‘Procida’, ‘Patagonia’ e ‘Z.O.’, l’Italia premiata a Locarno

Alla scoperta dei tre film che tornano da Locarno con la soddisfazione di un premio o una menzione: Procida, film collettivo sotto la supervisione di Leonardo Di Costanzo, Patagonia di Simone Bozzelli e il corto Z.O. di Loris G. Nese

Locarno 2023

Locarno76, Pardo d’oro all’iraniano ‘Critical Zone’

Il film di Ali Ahmadzadeh, realizzato clandestinamente tra le strade di Teheran, ha vinto la 76ma edizione del Locarno Film Festival. Premiati anche tre italiani: il film collettivo Procida, Patagonia di Simone Bozzelli e il corto Z.O. di Loris G. Nese


Ultimi aggiornamenti