Coney Island, anni ’50. Un Luna Park, una grande ruota panoramica, una spiaggia, gente in costume da bagno che sembra godersela. Colori pastello da cartolina, frutto del lavoro accurato di Vittorio Storaro. Ma non bisogna lasciarsi ingannare. Sebbene non manchi di momenti ironici e taglienti, La ruota delle meraviglie di Woody Allen, in uscita il 14 dicembre con Lucky Red, con Kate Winslet, Jim Belushi, Justin Timberlake e Juno Temple, rivela ben presto l’anima della tragedia greca, assecondando al contempo una delle fissazioni del regista newyorkese (ricordiamo La dea dell’amore) e la sua tendenza al noir degli anni di Match Point, Scoop e Blue Jasmine.
E’ lo sguardo tormentato di Ginny – Winslet intensa e magistrale – a filtrare l’intera vicenda. Lei è una donna infelice, ex attrice, sposata al rude Humpty (Belushi) ma senza amore. Del resto lei stessa sembra incapace di mantenere una relazione. Si invaghisce del giovane bagnino Mickey (Timberlake) ma l’arrivo da fuori di Carolina (Temple), attraente figlia di Humpty con un passato altrettanto tormentato (fugge dal matrimonio con un gangster) sconvolgerà la situazione fino alle estreme conseguenze. La ruota gira, sì, ma non sempre porta fortuna.
“Che tu legga una tragedia greca, Stendhal, Tolstoj o Dickens – dice Allen in una nota – i rapporti di amore sono sempre presenti, perché per molti sono fonte di angoscia e conflitti. Comportano l’emergere di situazioni e di sentimenti complessi, profondi, intensi e che si confondono. In particolare sono sempre stato incuriosito dai problemi delle donne. Nel corso dei secoli gli uomini si sono sempre dimostrati poco capaci di mostrare la propria sofferenza. Il codice maschile impone di non lasciar trasparire il dolore. Come quando un battitore viene colpito dal lanciatore: ci si aspetta che non mostri nulla. Mentre le donne sono sempre state più aperte rispetto alle loro emozioni. Ho realizzato soprattutto commedie, ma ogni volta che ho cercato di fare un film drammatico ho parlato di donne in momenti difficili”.
Quanto a Coney Island, poi, aggiunge: “i suoi giorni di gloria appartengono a un’epoca precedente alla mia nascita, ma quando ci andavo era molto emozionante. Mi ha sempre colpito molto. Lì c’era tanta gente pittoresca, e così tante attività complicate e contrastanti che l’atmosfera era particolarmente vitale. Ho pensato che sarebbe stato uno scenario molto stimolante in cui ambientare una storia drammatica”.
“Ero terrorizzata perché non sapevo da dove cominciare – racconta invece Kate Winslet – Se avessi fallito non me lo sarei mai perdonata. Sentivo la responsabilità di dover interpretare una donna così complessa e di non doverla ridurre in nessun caso a un cliché, di non dover mai eccedere per mantenerla reale, per non farne una caricatura, mantenendola ancorata alla sua orribile realtà. Ginny è convinta di essere una brava attrice, pensa che avrebbe potuto diventare famosa se non avesse mandato all’aria il suo matrimonio, ma in fondo credo anche non abbia mai avuto un vero talento. Fortunatamente per lei, non avrà mai la consapevolezza di essere così pessima, ma questo rende tutto ancora più tragico”.
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