È il film d’apertura della XXVI edizione del festival Tertio Millennio, che quest’anno si interroga sul ritorno di Caino e su come il male agisca anche dove non ce lo aspetteremmo, ad esempio all’interno di un nucleo di affetti e di legami familiari. Ed è stato al centro di una affollata proiezione per il pubblico con la presenza anche di Enrico Bufalini, direttore Cinema, Documentaristica e Archivio Luce Cinecittà.
Quei due – Edda e Galeazzo Ciano di Wilma Labate, prodotto e distribuito da Luce Cinecittà con la collaborazione di Rai Documentari, è un lavoro di grande attualità che unisce materiali d’archivio e messinscena teatrale, ricostruzione storica e lampi del presente in un sapiente tessuto narrativo e visivo. La regista e sceneggiatrice romana affida una storia tra privato e alta politica, quella di Edda Mussolini e di suo marito Galeazzo Ciano, restituiti nelle immagini di repertorio ma anche ‘raccontati’ da due attori dai volti e corpi estremamente contemporanei come Simone Liberati e Silvia D’Amico.
Una coppia glamour che, tra mondanità e tradimenti, ha attraversato il Ventennio fascista non restando indenne, nonostante gli enormi privilegi di cui godeva. Anzi, la macchina di distruzione della dittatura si è accanita persino contro di loro. Girando in teatro a Cinecittà, l’autrice ha messo in scena anche le prove d’attore sul testo, che si basa con precisione storiografica sulle fonti e i documenti d’epoca, tra cui i diari di Galeazzo e alcune interviste di Edda, oltre ai volumi dedicati alla coppia, tra cui quello di Giordano Bruno Guerri. Scritto da Beppe Attene, fotografato da Daniele Ciprì, con le musiche di Riccardo Giagni e il montaggio di Patrizia Penzo, Quei due sarà trasmesso su Rai3 prossimamente.
“La macchina da presa – spiega Wilma Labate – si muove per il teatro, tra scenografia e costumi contaminati dal presente, mentre insegue due giovani lanciati all’attenzione del mondo, dall’incarico diplomatico in Cina fino al conferimento a Galeazzo del Ministero degli Esteri. Piccoli effetti di cinema e una luce che racconta i corpi, accompagnano gli assurdi aspetti di una vita votata al fascismo e portano dentro al teatro il senso di potere che li travolgerà. Un modo attraverso il quale leggere la storia e al tempo stesso comprenderla”.
Galeazzo Ciano, nobile, diplomatico, ministro, marito della figlia del Duce, venne processato e giustiziato a Verona nel ’44. La domanda di grazia non venne accolta, il suocero non mosse un dito per salvarlo. Qui si vede in azione la macchina della dittatura che non risparmia nessuno.
Non c’è nessuna pietà, questo è il metodo delle dittature. Neanche nei confronti della più amata dei figli di Mussolini, la preferita, considerata la migliore di tutti. Sono le aberrazioni del regime.
I testi sono tutti autentici, le parole sono quelle di Edda e Galeazzo. Un film storico in cui ci sono costantemente aperture verso il presente.
L’idea del film è di Beppe Attene, io l’ho accolta con piacere e curiosità. Raccontare quei due personaggi del fascismo, contraddittori ma anche emblematici, mi ha attratto molto. Non ho valutato minimamente quale sarebbe stato il nostro futuro politico, ma da subito ho pensato di contaminare con l’oggi quel racconto, di attualizzarlo.
Il linguaggio è composito, ricco di stratificazioni.
Ho cercato di percorrere tanti generi: il documentario, la finzione, il teatro. Sono stata invitata a girare a Cinecittà, un luogo bello e stimolante, che ti concede un immenso palco a disposizione. Ho cercato due attori da mettere su questo palcoscenico, ma volevo che fossero due giovani di oggi. Ho montato nel film anche le prove per denunciare il fatto che si tratta di un lavoro documentario, mostro a chi guarda quello che ho fatto e come l’ho fatto. Ho cercato di essere onesta.
Che idea si è fatta di Edda Mussolini e Galeazzo Ciano?
Leggendo i diari ho scoperto che Galeazzo era un dandy. In un’epoca in cui tutto è militare e militaresco, lui trasgredisce queste regole. Questa coppia ha avuto una vita brillantissima, estremamente ricca. Il periodo che hanno trascorso in Cina negli anni ’20 e all’inizio dei ’30, quando lui era console, è stato un periodo di scoperta del mondo in anni in cui pochi sapevano persino cosa fosse la Cina.
La donna fascista era relegata al focolare domestico e aveva tra le sue prerogative quella di ‘portare bene le corna’ – come dice Mussolini stesso – Edda invece ha una presenza forte, è una che decide.
Il regime chiede alle donne di non avere un’identità, Edda la rivendica per se stessa. E rivendica la parità. Quando scopre di essere stata tradita, tradisce a sua volta. È molto sfaccettata, del resto al cinema i personaggi dritti, senza contraddizioni, non funzionano. Lizzani fece un meraviglioso film su Ciano, Il processo di Verona.
Perché il titolo: Quei due?
Perché non sono due qualsiasi, sono due che navigano dentro la Storia. Lui è ministro degli Esteri, lei prende il tè con Hitler. Sono due protagonisti. E mostrano anche un lato più brillante: lei guardava all’America, leggeva le riviste americane, lui, pur vivendo in un clima militare duro, austero e rigido, era piuttosto edonista. Erano due giovani privilegiati.
Le immagini di repertorio vengono dall’Archivio Luce, una vera miniera. Il fascismo lo abbiamo visto tante volte sullo schermo, ma è soprattutto il fascismo delle adunate, della guerra.
Quel momento così discusso e buio ha prodotto un grande cinema. Lo stile dell’Archivio è sontuoso, realizzato da persone estremamente capaci e avanti rispetto al proprio tempo. L’intervista a loro due seduti sul divano in cui lui le dice ‘tu non verrai sulla nave in giro per le città della Cina perché le donne stanno a casa’, ma lo dice ridendo, perché è consapevole di dire una cosa assurda, è estremamente moderno. In Archivio ci sono cose preziose. Del fascismo c’è la grande messinscena degli eserciti ma c’è anche il lusso, la dimensione frivola e privata: le macchine, le pellicce, le case, la caccia, i pranzi. Non dico il matrimonio a Villa Torlonia, perché è scontato, ma tanti momenti di vita quotidiana di una famiglia di potere: Edda che gioca a pallone col fratello, la passione per la fotografia, quelle sono le cose più preziose e ce ne sono tante ancora sconosciute.
Adesso sta scrivendo un film di finzione, ma ha un rapporto solido anche con il documentario.
Mi diverto moltissimo a fare i documentari, anche se ci vuole un sacco di lavoro. C’è maggiore libertà ma anche maggiore fatica. Per il documentario questo è un grande momento, persino per la serialità e questo ci deve far ragionare. L’idea di cinema del reale si rinnova e si aggiorna giorno per giorno. Bisogna lavorare per costruire sempre nuovi linguaggi e nuove scritture. Anzi, forse l’espressione ‘cinema del reale’ è già superata. È urgente raccontare la realtà, ma la realtà è talmente sorprendente e assurda, a tratti incomprensibile, che va sperimentata anche con la fantasia, cercando di azzardare sullo stile narrativo. Bisogna giocare con i generi anche con un po’ di spudoratezza. In un documentario è giusto giocare con il teatro, con le contaminazioni, con una recitazione che può essere sommessa o, al contrario, molto accesa. Un cineasta si deve sempre stupire quando lavora. Forse così può stupire anche il pubblico.
Un film che sta molto sorprendendo è La stranezza di Roberto Andò.
È scritto perfettamente, girato benissimo, usa due attori geniali come Ficarra e Picone, mentre Toni Servillo sta a servizio del misterioso Pirandello, che abbiamo studiato a scuola senza capirci niente e che finalmente capiamo.
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