VENEZIA – Chi si aspettava rivelazioni sull’omicidio di Pasolini è rimasto deluso. Il film di Abel Ferrara non entra nel merito, anzi torna persino indietro rispetto alla ricostruzione di Marco Tullio Giordana, e non ha neppure il respiro largo di una biografia. Più semplicemente racconta le ultime 24 ore del poeta di Casarsa, attraverso i gesti quotidiani e alcuni momenti pubblici (in particolare due interviste: una con un giornalista francese su Salò e l’altra con Furio Colombo sulla politica e la società). Ritratto di un uomo dolce e gentile, di un intellettuale ribelle, di un libero pensatore scomodo e di un omosessuale ossessionato dall’eros, Pasolini ha molte facce, e non poteva essere diversamente data la ricchezza inesauribile del personaggio, ma lascia la sensazione che al regista newyorchese stesse soprattutto a cuore l’immedesimazione da artista fotografato nel momento in cui l’immaginazione non è ancora imbrigliata da schemi troppo rigidi: nella stesura del romanzo Petrolio e della sceneggiatura di Porno-Teo-Kolossal, due progetti che entrambi danno vita a dei piccoli film nel film, a tratti ingenui.
Sono opere che rimasero incompiute per colpa di quella “maledetta notte”, come la chiama Ninetto Davoli, la notte in cui all’Idroscalo fu ammazzato a botte da Pino Pelosi e da una banda di balordi che potrebbero essere “portoricani di New York”. Ferrara preferisce infatti non dare spazio alle ipotesi del complotto politico, un complotto che ragionevolmente potrebbe aver “armato” la mano dei teppisti per mettere a tacere quella voce lucida e inflessibile. “Questa non è un’inchiesta giudiziaria, bensì letteraria – dice lo sceneggiatore Maurizio Braucci – e accoglie l’esito del primo processo del ’76, basato sul lavoro di Faustino Durante: un buon processo, con il verdetto di ‘omicidio in concorso con ignoti”’. “Non è un giallo”, aggiunge il protagonista Willem Dafoe, mentre Ferrara taglia corto: “Non ho mai detto di sapere cosa c’è dietro omicidio di Pier Paolo Pasolini, sono stato frainteso dai giornalisti. Lo scopo del film non è parlare di questo, ma del suo lavoro, della sua poesia, della sua passione e della sua compassione. Nella sua morte si riflette la sua vita. Certo che era scomodo, quasi ogni giorno finiva in tribunale, ebbe moltissime denunce”. Davoli, che nel ruolo di Epifanio recita le battute scritte per Eduardo in Porno-Teo-Kolossal, in coppia con Riccardo Scamarcio (che a sua volta fa il giovane Ninetto), è straripante in conferenza stampa. Tanto quanto Ferrara sembra poco propenso a spiegare il suo lavoro ai giornalisti. “Pier Paolo – dice Ninetto – è sempre stato nel mirino dei critici e anche della giustizia, ha avuto 32 o 33 denunce, persino per aver parcheggiato male la macchina. Ma lui non se ne curava, non si è mai fermato di fronte a nessun ostacolo, ha sempre seguito le sue idee. Diceva la verità e la gente restava sconvolta, ‘intirizzita’. Non è vero che sia andato a ‘cercarsi’ in qualche modo la morte o che l’abbia presagita. Era un uomo allegro, gli piaceva la vita. Io e mia moglie lo incontrammo la sera del 2 novembre, a cena da Pommidoro, parlammo di un nuovo progetto mio che doveva leggere. Aveva tante altre cose da raccontare che non ha fatto in tempo a realizzare… Noi tutti, dopo la sua morte, siamo stati catturati dal sistema consumistico, che ha portato l’Italia a diventare com’è ora. Pier Paolo è rimasto vittima del mondo che descriveva, un mondo violento, assurdo, in cui le persone hanno perso il valore vero della vita. Ma se non moriva avrebbe continuato a fare i suoi film, anche ora, fregandosene del politically correct”.
Pasolini si basa molto sulle conversazioni tra Davoli (che ha messo addirittura a disposizione alcuni abiti del poeta) e Ferrara oltre che su tante testimonianze di amici e parenti. Tra questi i cugini Graziella Chiarcossi (interpretata da Giada Colagrande) e Nico Naldini (Valerio Mastandrea). Tutto ha contribuito ad aiutare Willem Dafoe nella costruzione, impressionante per mimetismo, di una figura iconica che rivive nello sguardo e nella postura dell’attore americano, già complice di Ferrara in vari film tra cui Go go tales. ”Abel ed io abbiamo molto parlato di questo film, lui riesce a trasformarti in un suo collaboratore. Quanto a me ho cercato di abitare i pensieri di Pier Paolo, più che interpretare un ruolo. Ho dialogato con le cose che voleva fare – cose molto potenti – e ho trovato un rapporto personale e privato con questi suoi progetti”.
Qualche punto in comune tra Pasolini e Ferrara? “No, io sono cresciuto guardando i suoi film, lui no. Da buddista quale sono, medito sul mio maestro”. E ancora: “Pasolini mi permette di riflettere su cosa vuol dire scandalizzare. Cresciuto col fascismo e omosessuale, non aveva paura di nulla. Aveva la forza delle sue convinzioni esattamente come i miei nonni”.
Suscita molte perplessità l’uso della lingua. Nella versione vista a Venezia in concorso si parla prevalentemente in inglese, ma alcune frasi, anche di Dafoe, sono recitate in italiano e in romano parlano i ragazzi di vita (nella versione per le sale Fabrizio Gifuni darà voce a Pasolini e Chiara Caselli alla Laura Betti interpretata da Maria De Medeiros). Per Braucci “La lingua nel film è sperimentazione. Siamo stati molto fedeli agli scritti di Pier Paolo, abbiamo usato le ultime sue due interviste cercando le migliori traduzioni in inglese esistenti, ovviamente nella versione doppiata torneremo ai testi originali”. Aggiunge il regista: “Come Willem, sono americano, e io nemmeno parlo italiano anche se vivo a Roma: le cose che dice le avremmo potute esprimere solo nella nostra lingua, mentre il romanesco dei ragazzi di vita è una scelta artistica e creativa. Non solo, la Roma violenta del 1975, per me potrebbe essere New York ieri notte, con un ricco e famoso su una bella macchina che a Brooklyn rimorchia ragazzi dominicani”.
Secondo il montatore Fabio Nunziata, “il merito del film è quello di avvicinarsi all’umanità, alla verità umana di Pasolini: per 40 anni si è discusso sulla sua morte, sul complotto, sull’ipotesi dei siciliani, ma tutto questo ne ha oscurato la grandezza. Viceversa, qui si racconta l’importanza della morte nella sua vita: Pasolini è un mito, una divinità moderna, e solo un regista straniero come Abel poteva farlo”. Francesco Siciliano (Furio Colombo nel film) ricorda benissimo la telefonata che arrivò a suo padre Enzo la notte che morì Pasolini. “Eravamo in campagna, in Umbria. Mio padre si mise a piangere, poi ci fu la corsa verso Roma. Mi fece molta impressione, perché non era morto Pasolini, avevano ammazzato Pasolini…”. Adriana Asti (la madre Susanna) confessa che parlare di Pier Paolo le suscita ancora oggi le lacrime. “Eravamo molto amici e così avevo paura di non farcela a interpretare sua madre, perché troppo coinvolta. Ricordo che ebbi la notizia della sua morte mentre ero sul set dell’Eredità Ferramonti di Mauro Bolognini. Ero sconvolta, pensavo che fosse immortale”.
Pasolini uscirà il 25 settembre con Europictures in associazione con Akai Italia.
"Una pellicola schietta e a tratti brutale - si legge nella motivazione - che proietta lo spettatore in un dramma spesso ignorato: quello dei bambini soldato, derubati della propria infanzia e umanità"
"Non è assolutamente un mio pensiero che non ci si possa permettere in Italia due grandi Festival Internazionali come quelli di Venezia e di Roma. Anzi credo proprio che la moltiplicazione porti a un arricchimento. Ma è chiaro che una riflessione sulla valorizzazione e sulla diversa caratterizzazione degli appuntamenti cinematografici internazionali in Italia sia doverosa. È necessario fare sistema ed esprimere quali sono le necessità di settore al fine di valorizzare il cinema a livello internazionale"
“Non possiamo permetterci di far morire Venezia. E mi chiedo se possiamo davvero permetterci due grandi festival internazionali in Italia. Non ce l’ho con il Festival di Roma, a cui auguro ogni bene, ma una riflessione è d’obbligo”. Francesca Cima lancia la provocazione. L’occasione è il tradizionale dibattito organizzato dal Sncci alla Casa del Cinema. A metà strada tra la 71° Mostra, che si è conclusa da poche settimane, e il 9° Festival di Roma, che proprio lunedì prossimo annuncerà il suo programma all'Auditorium, gli addetti ai lavori lasciano trapelare un certo pessimismo. Stemperato solo dalla indubbia soddisfazione degli autori, da Francesco Munzi e Saverio Costanzo a Ivano De Matteo, che al Lido hanno trovato un ottimo trampolino
Una precisazione di Francesca Cima
I due registi tra i protagonisti della 71a Mostra che prenderanno parte al dibattito organizzato dai critici alla Casa del Cinema il 25 settembre