Sentimenti in 3D: Ritorno alla vita, il nuovo film di Wim Wenders, in sala dal 24 settembre con Teodora, sperimenta con la tecnologia ma al servizio di emozioni sussurrate. Orso alla carriera all’ultima Berlinale, settant’anni festeggiati da poco, il 14 agosto, Wenders costruisce una fiaba sulla guarigione in cui Tomas (James Franco) trova il successo come scrittore dopo un incidente da lui involontariamente provocato in cui ha perso la vita un bimbetto che giocava nella neve col fratellino: “Il cinema parla spesso di ferite, ma non molto della cura, che invece è tanto importante per noi esseri umani. Non è il tempo che guarisce le ferite, siamo noi che dobbiamo fare qualcosa per uscirne”, ci ha spiegato il regista tedesco, che abbiamo incontrato proprio alla scorsa Berlinale. La sceneggiatura è di un giovane autore norvegese Bjørn Olaf Johannessen, che gli ha chiesto di leggerla dopo un incontro tra i due avvenuto al Sundance, tre anni prima, quando Wim l’aveva premiato per uno script intitolato Nowhere Man. “Mi ero completamente dimenticato di lui, quando ho ricevuto questo copione per posta e mi sono talmente appassionato alla prima stesura di Every Thing Will Be Fine da convocare immediatamente il mio produttore, Gian-Piero Ringel”. A toccarlo in profondità è stato il tema della colpa, un tema ricorrente nella sua opera che qui ha una sfumatura diversa, piuttosto singolare. “Il centro del film non è tanto la colpevolezza o meno del protagonista rispetto all’incidente, ma riguarda la colpa di ogni artista nello sfruttare la vita reale. Fino a che punto abbiamo il diritto di usare quello che sperimentiamo e specialmente le sofferenze altrui per farne un’opera d’arte? E’ una domanda che mi sono posto molte volte”.
A incuriosire è ovviamente la scelta del 3D, una scelta non scontata dato l’argomento e l’andamento della vicenda. “Non pensavo di tornare a usarlo dopo Pina – il bellissimo documentario su Pina Bausch, ndr – ma ho scoperto che ha altre potenzialità, perché è il modo migliore per esprimere le emozioni, mette gli attori in primo piano, con una sottigliezza assoluta. Per loro è una sfida enorme perché neppure il più piccolo dettaglio sfugge alla visione e così sono costretti ad essere più che a recitare”.
Tra le fonti di ispirazione visive c’è un artista figurativo, il pittore americano Andrew Wyeth (1917-2009). “Insieme al direttore della fotografia Benoit Debie, abbiamo deciso di non usare un film come riferimento, ma la pittura iperrealista di questo artista purtroppo sconosciuto in Europa. Era attivo in un periodo in cui andavano per la maggiore l’astrattismo e Andy Wahrol, aveva uno spirito controcorrente rispetto alla sua epoca. Ha dipinto solo le cose che conosceva, cose vicine, che poteva trovare attorno al suo studio in Pennsylvania oppure nel Maine dove trascorreva le vacanze estive. Mi piace il suo modo di amplificare le cose ordinarie e di ritrarre le persone”.
Wenders spiega come vede Tomas, lo scrittore gravato da sensi di colpa ma incapace di verbalizzarli. “Mi interessano le persone introverse, che non parlano molto. È un aspetto molto maschile perché le donne sono più aperte, però lo scrittore trasforma il suo trauma inespresso in narrazione. Come ho detto mi sento vicino a lui rispetto al tema della responsabilità dell’artista, anche se lo considero meno autobiografico di un altro mio personaggio, Philip Winter, interpretato da Rüdiger Vogler in Alice nelle città e persino meno autobiografico dal fotografo di Palermo Shooting. E devo dire che mi piace il fatto che Tomas sia molto chiaramente un personaggio inventato che posso osservare dall’esterno, senza identificarmi fino in fondo”.
Sulla scelta di James Franco dice che l’attore americano, che molti considerano di culto, l’ha convinto fin dal primo incontro: “E’ una persona creativa, dunque conosce il conflitto interiore del suo personaggio. Sul set era estremamente concentrato, passava il tempo tra un ciak e l’altro a studiare per il suo master in letteratura, avrà letto almeno venti libri”. Fondamentali anche i personaggi femminili che gli ruotano attorno: Sara (Rachel McAdams) è la compagna di Tomas all’epoca dell’incidente, Kate (Charlotte Gainsbourg), la madre dei due bambini, Ann (Marie-Joseé Croze), la nuova compagna che lo spinge a mettersi in discussione, ma è solo l’incontro con Christopher, il fratello del bambino ucciso, ormai diventato grande, a innescare il necessario processo di guarigione.
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