Walter Hill: il futuro agli indipendenti


Tifo da stadio al Torino Film Festival per The Warriors: Walter Hill ha portato al festival il director’s cut di quel mitico film del ’79, la sua terza regia e il suo primo vero successo commerciale, inaugurando alla grande la sua retrospettiva e i ventenni hanno fatto letteralmente a botte per vederlo. “È stata una bella sensazione anche perché fu un set sfigatissimo, con enormi problemi di soldi, settimane di pioggia e addirittura un’attrice che si ruppe un polso”, racconta. Ma il fatto che quel film sia ancora un cult a distanza di tanti anni, che abbia ispirato persino un videogioco, è per il cineasta (classe 1942) il segno tangibile che i film vanno fatti per se stessi. “Non per i critici, con tutto il rispetto per la categoria, e neppure per il pubblico, perché la storia dello show business è lastricata di gente che è fallita perché cercava di prevedere i gusti degli spettatori”.

 

Non si prende troppo sul serio, l’inventore di tante macchine da cinema, scrittore e regista di decine di western, storie di violenza urbana, noir tenebrosi, polizieschi avvincenti. “Sono un cineasta, non un intellettuale. Non so dire la mia sui guerrieri della notte parigina anche se credo che la rabbia degli esclusi non dipenda solo da miseria e disoccupazione, ma abbia cause più profonde. Trovo i tg e le sit com più violenti della realtà e del cinema stesso”.

 

Poi, a sorpresa, sfodera conoscenza e amore per il cinema italiano, quello classico di Antonioni, Fellini e Visconti, che gli capitava di vedere negli anni ’60 in un cinemino di Los Angeles che oggi è una sala a luci rosse. “Gli italiani erano maestri del bianco e nero”, dice. Ma confessa passione anche le commedie: “Gassman, Sordi e Monicelli… Monicelli so che è ancora al lavoro a 90 anni”. Cita anche Olmi e rivela una passione tutta americana per Sergio Leone, mentre si rende conto che viviamo tempi di vacche magre. “È triste che in America non si riescano più a vedere i film italiani salvo qualche rara occasione. Ma so che questo non è un buon momento per il vostro cinema”.
Il creatore del primo Alien (avrebbe dovuto dirigerlo ma la palla passò a Ridley Scott perché lui non si sentiva a suo agio con gli effetti speciali) sta lavorando per la tv via cavo. Ha appena finito una miniserie western di quattro ore (Broken Trail) con Robert Duvall, Greta Scacchi e Thomas Hayden Church. E’ la storia di due cowboy che portano nel Wyoming 500 cavalli e cinque prostitute cinesi vendute dalle famiglie d’origine. Mentre non riesce a chiudere produttivamente un altro progetto, Little Sisters, un noir ambientato a Las Vegas che gioca sulla doppia indentità al femminile. Due gemelle, la criminale e la poliziotta, per una sola attrice. “Poteva essere Uma Thurman, purtroppo ha da fare”. Un po’ messo da parte dal sistema, non nasconde perplessità sugli studios che lavorano a suon di marketing. “Il club ristretto dei tycoon di una volta è ora in mano alle multinazionali, che sottopongono ogni scelta al sistema pseudo scientifico dei test cercando il favore del grandissimo pubblico, degli adolescenti. È il trionfo dell’omologazione, la fine della creatività e delle idee, che non a caso trovano spazio nel cinema indipendente”. Eppure The Warriors fa ancora il tutto esaurito.

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13 Novembre 2005

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