Waiting for Coppola a Cinecittà, la forza inarrestabile di Francis Ford

Alla riscoperta del grande regista che il 14 ottobre sarà ospite di Cinecittà in occasione dell'anteprima italiana del suo ultimo film, Megalopolis


La sua non è semplicemente una carriera, ma un percorso esistenziale costellato dell’oro della grandezza e del fango di cadute rovinose. Altezze vertiginose e abissi profondi per questo artista che dal 1963 – ben sei decenni di lavoro – come pochissimi altri nella storia non ha mai smesso la sua esplorazione dei limiti della narrazione cinematografica. Lunedì 14 ottobre, Francis Ford Coppola sarà ospite di Cinecittà in occasione dell’anteprima italiana del suo ultimo film Megalopolis, in un evento realizzato grazie al Ministero della Cultura, che segna la preapertura della Festa del Cinema di Roma e di Alice nella città 2024.

Coppola è un uomo che ha sempre affrontato la creazione dei film come una forma d’arte totalizzante, spinto da una passione che non ha mai smesso di alimentarlo, nonostante le difficoltà economiche e le sfide personali. Se si vuole generalizzare si può dire che ha avuto delle fasi: gli anni ’60 a ruota libera, le visioni epiche degli anni ’70, le disavventure hollywoodiane degli anni ’80 e ’90, la sperimentazione personalissima del XXI secolo ma sempre con un filo conduttore: l’italo-americano che racconta la storia dell’America da chi la guarda dall’esterno.

I Corleone della trilogia del Padrino ne sono l’esempio più evidente, ma ci sono anche gli hippy di Missitucky in Sulle ali dell’arcobaleno, la casalinga sradicata di Non torno a casa stasera, gli outcast dell’Oklahoma di I ragazzi della 56ma strada e Rusty il selvaggio, le vittime della sanità di L’uomo della pioggia e i soldati di Apocalypse Now e Giardini di Pietra, che non sono stati abbastanza fortunati da scegliere il rinvio per motivi di salute.

E il più grande tra i “marginali” è lo stesso Coppola, determinato a fare arte all’interno del sistema hollywoodiano che lo spinge costantemente verso il compromesso – o fuori dalla porta.

Gli inizi: i mondi delle sue marionette

Nato a Detroit il 7 aprile 1939 e cresciuto a New York, Coppola vive l’ambiente artistico di una famiglia immersa nella cultura. Suo padre Carmine è un flautista della Detroit Symphony Orchestra  e compositore, mentre sua madre Italia è un’attrice dilettante nata nella nazione di cui porta il nome. I suoi nonni paterni sono arrivati negli Stati Uniti da Bernalda in Basilicata e suo nonno materno è il popolare compositore italiano Francesco Pennino emigrato da Napoli.

Francis Ford Coppola, fin da bambino, vive un’esistenza segnata da esperienze che modellano la sua immaginazione e plasmano la sua determinazione. Uno degli eventi cruciali della sua infanzia è la contrazione della poliomielite, che lo costringe a letto per lunghi periodi. Durante quei momenti di immobilità, Coppola trova rifugio nella sua fervida creatività. Incapace di correre o giocare come gli altri bambini, si immerge nella creazione di mondi immaginari, producendo piccoli spettacoli teatrali di marionette fatte in casa. Questi primi tentativi di raccontare storie visivamente rivelano già una sensibilità particolare.

A 15 anni, legge Un tram che si chiama Desiderio e il teatro diventa una passione travolgente. Nel frattempo, si diletta con la produzione di lungometraggi in 8 mm, montando filmati amatoriali e creando titoli come Il ricco milionario e Il portafoglio perduto.

Coppola si avvia inizialmente verso una carriera musicale, diventando esperto nella tuba, strumento che gli frutta una borsa di studio alla New York Military Academy. Ma il richiamo del cinema è più forte.

A scuola da Roger Corman

Dopo aver all’Università Hofstra e poi alla UCLA Film School, Coppola inizia a lavorare a film di basso profilo, spesso come sceneggiatore. Il suo talento emerge fin dal suo debutto con  Terrore alla 13ma ora (Dementia 13 , 1963). Molti grandi registi si sono “laureati” alla scuola di cinema di Roger Corman, ma l’opera prima di Coppola somiglia più a un corso intensivo. Questa esperienza lo forgia: imparare a essere creativo con risorse limitate diventa una delle sue più grandi abilità. Lavorando per nove giorni in Irlanda con gli spiccioli rimasti da un’altra produzione di Corman, a Coppola viene chiesto di fare uno “Psycho senza budget”.

Dire che il film è un po’ grezzo è un eufemismo, ma la sceneggiatura di Francis Ford rielabora il capolavoro di Hitchcock in modo intelligente, seguendo una vedova (Luana Anders) che si reca in un castello irlandese per farsi strada nell’eredità del marito defunto, ma si imbatte invece in una serie di oscuri segreti di famiglia.

Buttati, Francis!

Gli anni ’60 rappresentano per Francis Ford Coppola un periodo di formazione e affermazione nel mondo del cinema. Dopo un inizio segnato da progetti più modesti, come sceneggiatore si fa notare con film come Parigi brucia? (1966) e Questa ragazza è di tutti, collaborando con attori di spicco come Jean-Paul Belmondo e Alain Delon. Tuttavia, è con il ritorno dietro la macchina da presa che inizia a consolidare la sua identità di autorre.

Dirige Buttati Bernardo! nel 1966, che ottiene un discreto successo e una nomination all’Oscar per la miglior attrice non protagonista. Da lì in poi, Coppola inizia a lavorare con attori famosi, come Fred Astaire in Sulle ali dell’arcobaleno e, nel 1969, dirige Non torno a casa stasera, con James Caan e Robert Duvall, film che riceve grandi lodi dalla critica.

Questo decennio segna la sua evoluzione da giovane sceneggiatore a regista capace di affrontare progetti più complessi e ambiziosi, ponendo le basi per i successi degli anni successivi.

Il Padrino di Hollywood

Gli anni 70 iniziano col botto. Insieme a Edmund H. North, scrive la sceneggiatura di Patton, generale d’acciaio, un film che vede George C. Scott nel ruolo del protagonista. Questo lavoro porta a Coppola il suo primo Oscar per la miglior sceneggiatura sulle sette statuette che si porta a casa in totale.

Nel 1971, la Paramount gli affida la regia di Il padrino, un adattamento del celebre romanzo di Mario Puzo. Coppola ricorda spesso che questo film è stato il più difficile della sua carriera, a causa dei numerosi contrasti con la produzione, soprattutto per le scelte di casting. Dopo il rifiuto di registi come Sergio Leone, Elia Kazan e Arthur Penn, Coppola accetta l’incarico, ma la sua scelta di Marlon Brando per il ruolo di Don Vito Corleone provoca forti tensioni. Brando, considerato ormai in declino e difficile da gestire a Hollywood, viene accettato solo con precise clausole contrattuali, imposte dal produttore Robert Evans.

Il risultato è un capolavoro che ridefinisce il genere gangster, trasformandolo in un’epica familiare sulla natura del potere e della corruzione. Il 15 marzo 1972, Il padrino esce nei cinema di tutto il mondo, diventando immediatamente un fenomeno di portata straordinaria. Al botteghino statunitense frantuma ogni record, incassando 86 milioni di dollari e superando il primato che Via col vento aveva mantenuto per oltre 30 anni. Alla fine della sua programmazione globale,  accumula oltre 250 milioni di dollari, diventando uno dei film più redditizi di tutti i tempi. Con il passare degli anni, i suoi incassi raggiungono cifre impressionanti, superando il miliardo di dollari.

Il successo al botteghino è solo una parte della storia: Il padrino conquista anche la critica. Il suo impatto culturale è profondo e duraturo, lasciando tracce indelebili nell’immaginario collettivo. Scene iconiche, come quella della testa di cavallo nel letto o la morte di Sonny, diventano parte della memoria cinematografica mondiale e vengono citate in innumerevoli film e serie di successo negli anni a venire.

Il film riceve 10 nomination agli Oscar e ne vince tre: miglior film, miglior sceneggiatura non originale per Coppola e Mario Puzo, e miglior attore per Marlon Brando che lo rifiuta in segno di protesta contro i maltrattamenti riservati ai nativi americani da parte dell’industria di Hollywood.

Nel tempo, il film consolida il suo status di capolavoro assoluto. L’American Film Institute lo inserisce al secondo posto nella lista dei migliori film di sempre, preceduto solo da Quarto potere di Orson Welles e superando leggende come Casablanca. Il retaggio di Il padrino è destinato a perdurare per generazioni, consolidando il nome di Coppola tra i giganti del cinema.

Due anni dopo, con Il padrino – Parte II, riesce a superare se stesso, firmando un’opera altrettanto rivoluzionaria che vince sei Oscar, consolidando il suo status di maestro.

Apocalypse Now e la discesa nell’oscurità

Dopo aver firmato un altro pezzo d’arte cinematografica come La conversazione nel 1973 con uno Gene Hackman in uno dei suoi ruoli più famosi e ricordati, Coppola si imbarca in un altro progetto “apocalittico”.

La produzione di Apocalypse Now si trasforma infatti in una vera e propria odissea, una delle più travagliate della storia del cinema. Dalle prime riprese, il progetto è segnato da difficoltà impreviste. I tifoni colpiscono ripetutamente il set nelle Filippine, distruggendolo più volte e costringendo la produzione a ricostruirlo da zero. Come se non bastasse, Coppola e alcuni membri del cast, tra cui Martin Sheen, sono vittime di crisi nervose e abusi di sostanze. Sheen, in particolare, subisce un infarto durante le riprese, e molte delle sue scene vengono girate con una controfigura. A tutto questo si aggiunge la crescente sfiducia dei produttori, che cominciano a temere per la riuscita del film, mentre i costi si gonfiano fino a triplicare il budget iniziale, arrivando a 30 milioni di dollari.

La situazione si complica ulteriormente a causa delle interferenze del governo delle Filippine, che osteggia il film per il suo profilo antimilitarista. Il clima difficile e le tensioni crescenti logorano gli attori, che perdono gradualmente entusiasmo, rallentando ulteriormente la produzione. Coppola, sopraffatto dalla pressione e dai ritardi, arriva a soffrire di un grave esaurimento nervoso, che quasi distrugge il suo matrimonio e lo porta vicino al suicidio. Le riprese si prolungano per quasi un anno intero, concludendosi nell’estate del 1977, mentre la post-produzione richiede un tempo ancora maggiore, costringendo Coppola a posticipare più volte la data di uscita del film. Il budget sforato minaccia la sopravvivenza della Zoetrope Production, la casa di produzione di Coppola, che rischia il fallimento.

Quando Apocalypse Now finalmente arriva nelle sale nell’agosto del 1979, dopo aver vinto la Palma d’oro a Cannes, la reazione iniziale della critica è di smarrimento. Il film, con il suo ritratto allucinato e surreale della guerra del Vietnam, spiazza molti. Tuttavia, col passare dei mesi, Apocalypse Now viene riconosciuto come un capolavoro, lodato per la sua visione unica e innovativa. Al botteghino, il film incassa 150 milioni di dollari e riceve otto nomination agli Oscar, vincendo i premi per la miglior fotografia e il miglior sonoro.

Il film si aggiudica la Palma d’oro a Cannes e viene inserito nella lista dei 100 migliori film statunitensi dell’American Film Institute, confermando il suo status di opera seminale e imprescindibile nella storia del cinema.

La crisi e il declino degli anni 80

Dopo il trionfo di Apocalypse Now, gli anni ’80 segnano un periodo di crisi per Coppola. I suoi progetti più personali non trovano il favore del pubblico o della critica. Un sogno lungo un giorno (1982), un musical visivamente ambizioso, fallisce al botteghino e lo lascia gravemente indebitato.

Così per far fronte a questa situazione Francis Ford Coppola accetta numerosi progetti per risanare i debiti causati dal flop di Un sogno lungo un giorno. Nel 1983 dirige I ragazzi della 56ª strada, che ottiene un buon successo di critica e pubblico, incassando 33 milioni di dollari con un budget di 10 milioni. Nello stesso anno realizza Rusty il selvaggio, accompagnato dalla colonna sonora di Stewart Copeland. Tuttavia, il film non riesce a replicare il successo precedente.

Nel 1984, dirige Cotton Club, un progetto ambizioso con un budget di 58 milioni di dollari. Nonostante recensioni positive, il film incassa solo 25 milioni, creando ulteriori problemi finanziari. Dopo vari insuccessi, Coppola decide di prendersi una pausa dalla regia.

Nel frattempo, produce Mishima (1985) e dirige Peggy Sue si è sposata (1986), che ottiene tre nomination agli Oscar e incassa più del doppio del budget. Nel 1987 dirige Giardini di pietra, nuovo fallimento e Tucker – Un uomo e il suo sogno (1988) che pur non coprendo il budget, riceve lodi dalla critica.

Nuovo sangue negli anni 90: dal terzo Padrino a Dracula

Nel 1989, dopo aver diretto un episodio di New York Stories, Francis Ford Coppola riceve un’offerta dalla Paramount Pictures per dirigere il terzo capitolo della saga de Il padrino. Inizialmente rifiuta, ancora segnato dalle difficoltà incontrate nella realizzazione dei primi due film e dall’odio per la Paramount. Tuttavia per il bisogno di risanare i debiti della sua American Zoetrope, Coppola accetta. Nel 1990, Il padrino – Parte III arriva nei cinema, con un cast rinnovato che include Andy García e George Hamilton. Tuttavia, la scelta di far interpretare il ruolo di Mary Corleone a sua figlia Sofia, in sostituzione di Winona Ryder, viene criticata aspramente, portando Sofia a vincere un Razzie Award per la peggior attrice non protagonista.

Nonostante le recensioni contrastanti e il paragone sfavorevole con i capitoli precedenti, il film ottiene un buon successo al botteghino, incassando 137 milioni di dollari su un budget di 54 milioni. Coppola si ritrova frustrato, prigioniero di un sistema che lo costringe a fare compromessi tra il suo desiderio di innovare e le esigenze del mercato.

Ma il successo economico permette a Coppola di tornare a progetti più ambiziosi. Nel 1992, realizza Dracula di Bram Stoker, con Gary Oldman, Anthony Hopkins, Winona Ryder e Keanu Reeves. Il film vince tre Oscar per il trucco, i costumi e gli effetti speciali, e si rivela un successo di critica e di pubblico. Nello stesso anno, Coppola riceve il Leone d’oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia.

Nel 1995 dirige Jack, con Robin Williams e Diane Lane, un film dal budget elevato che copre i costi con 58 milioni di dollari d’incasso, ma viene duramente stroncato dalla critica, che non apprezza il mix di dramma e commedia.

L’anno successivo, con L’uomo della pioggia, Coppola adatta il romanzo di John Grisham, ottenendo un discreto successo di pubblico e critica, grazie anche alle performance di Matt Damon e Danny DeVito.

La rinascita e la sfida di Megalopolis

Negli anni successivi, Coppola si ritira in parte dalla regia, dedicandosi ad altre attività, come la produzione di vino nella sua tenuta in California. Tuttavia, non abbandona mai del tutto il cinema. Negli ultimi anni, torna a lavorare con nuova energia su uno dei suoi sogni più ambiziosi: Megalopolis. Questo progetto è stato coltivato nella sua mente per decenni, una sorta di “tragedia romana ambientata in una New York futuristica”, che esplora temi come l’utopia, l’urbanizzazione e la ricerca di una società ideale.

Megalopolis rappresenta tutto ciò che il cinema di Coppola incarna: audacia, visione e rischio. Nonostante le difficoltà a trovare finanziamenti, Coppola ha deciso di autofinanziarlo, dimostrando ancora una volta la sua natura indipendente e la volontà di sfidare le convenzioni. Con un cast stellare e l’uso di tecnologie all’avanguardia, il progetto è oggi nei nostri cinema e chissà che il tempo non gli riservi la gloria che ha investito a posteriori film come Apocalypse Now.

Megalopolis potrebbe segnare l’ultimo capitolo di una carriera straordinaria, ma anche il coronamento di una vita dedicata al cinema. Coppola, con la sua capacità di affrontare ogni progetto con passione e coraggio, rimane uno dei giganti della settima arte, un innovatore che non ha mai smesso di credere nel potere dei sogni, anche quando il costo era altissimo. Il suo cinema non è mai stato solo un mestiere, ma una missione, un’esplorazione infinita delle possibilità creative e umane.

E oggi, come sempre, è una forza inarrestabile.

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13 Ottobre 2024

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