La storia di questa ascesa sociale nel mondo della finanza di un giovane agente della Fiamme Gialle, di origini modeste ma privo di scrupoli, è stata scritta dal regista Vincenzo Marra tre anni fa. Prima che le imprese di personaggi come Ricucci, Fiorani o Coppola riempissero le cronache dei nostri giornali. Ma si sa spesso la cronaca supera la finzione, come quella narrata da L’ora di punta. Anche se per l’attrice Fanny Ardant – lei è Caterina la donna bella, ricca ed elegante che innamorata di Filippo lo introduce nel mondo della politica e delle banche – il film di Marra non ha una connotazione solo italiana: “C’è una cappa che copre il mondo intero, la corruzione e la falsa politica hanno contagiato tanti altri paesi”. A Marra Venezia ha portato fortuna in passato: premio della Settimana della critica nel 2001 con Tornando a casa, tre anni dopo menzione nella sezione Orizzonti per Vento di terra. Questa volta ci prova in Concorso con un’opera accolta in modo tiepido durante la proiezione per i giornalisti e criticata durante la conferenza stampa per alcuni dialoghi e per un linguaggio a tratti televisivo, pur apprezzandone l’intento civile. Il film, prodotto da Corsi&Romoli, in collaborazione con Rai Cinema, sarà in sala domani con 01 Distribution.
Perché “L’ora di punta”?
Un giorno in una piazza affollata e trafficata di Roma, all’ora di pranzo, ebbi un’intuizione e un’ossessione. Mi accorsi di come tra quella folla anonima, fatta di persone per bene che camminava veloce da una parte all’altra, fosse semplice mimetizzarsi per un assassino, per un truffatore, per una persona pronta a vendere l’anima.
Il tema è dunque la brama di potere?
Sì la voglia totale di uscire dall’anonimato e che c’è in tutte le società occidentali. Tu vali se hai, se riesci ad essere appariscente. Le persone che emergono sono quelli che riescono a vendersi meglio. E Filippo emerge perché è freddo, spregiudicato, rapace. E’ frustrato dalla sua vita modesta: un quartiere popolare, un appartamento che divide con altri, un lavoro poco retribuito.
Il finale non lascia molta speranza sul futuro della società italiana.
Certo avreste preferito vedere Filippo in manette, ma tutti i miei film finiscono con un punto di domanda. Spetta al politico rassicurare. C’è un momento in cui Filippo si guarda allo specchio, un attimo in cui sembra mettersi in discussione, ma subito rinuncia a guardarsi dentro.
E la dedica finale a suo padre?
Purtroppo è morto durante le riprese e io oggi sono qui per lui. Ricordo che una volta mi disse: “Quanti anni vuoi campare? Noi abbiamo un tempo limitato, investilo in qualcosa in cui credi”. E io ho deciso di fare i film. Con me porto sempre la memoria della mia vita e della mia famiglia. Non lo fa invece il protagonista del film che, nelle prime inquadrature, quando lascia l’appartamento del quartiere popolare, non porta con sé la fotografia del padre. Del resto come tratta la madre venuta in visita a Roma, se non liquidarla con la scusa di essere troppo impegnato nel lavoro.
Come la prenderanno le Fiamme Gialle?
Nel film ci sono le male marce, ma anche gli onesti. Rivendico la libertà di raccontare questa vicenda di oggi e poi non capisco perché se queste storie le raccontano i registi americani va bene, se lo facciamo noi è azzardato.
Come ha scelto gli interpreti e come ha lavorato con loro?
Scrivendo la sceneggiatura ho pensato da subito a Fanny Ardant, l’ho voluta incontrare a Parigi ed è nato da subito un feeling emotivo. Per i personaggi interpretati da Michele e Giulia c’è stata una faticosa selezione. Poi un lungo lavoro sull’improvvisazione, sull’immedesimazione nello stato d’animo. Da subito ho detto a Michele che il suo personaggio rappresentava uno squalo. Il loro è stato un lavoro di avvicinamento, non hanno letto la sceneggiatura e siccome il cinema è come uno sport estremo, hanno dovuto allenarsi.
In questi giorni il cinema italiano presente al Lido è stato criticato, che ne pensa?
Ho letto le critiche sulla stampa ai film italiani perché incapaci di parlare dell’oggi o perché troppo cerebrali e pieni di psicologismi. Ma con L’ora di punta parlo dell’Italia contemporanea.
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