LONDRA – L’equilibrio di Vincenzo Marra, ancora senza una distribuzione in Inghilterra, è stato accolto con interesse dal pubblico del London Film Festival. Unico ospite italiano dei tradizionali “tè del pomeriggio” (ma sarebbero attesi, negli ultimi giorni della manifestazione, anche Susanna Nicchiarelli con Nico, 1988 e Fabio Grassadonia con Antonio Piazza per Sicilian Ghost Story), Marra ha incontrato a Londra la stampa intervenendo sulla polemica, sollevata dal quotidiano ‘La Repubblica’, sui mancati incassi del cinema d’autore italiano.
I film di Venezia, tra cui il suo, incassano poco. Pochissimo.
Anche se il pubblico è padrone, io continuo a pensare che si abbia bisogno di immagini e di storie diverse. Solo che a volte sembra una partita impossibile da vincere. Io mi sento comunque fortunato ad essere uscito con il mio film a settembre, in un periodo in cui le sale e la pubblicità sono così ridotte che spesso nemmeno i tuoi parenti si accorgono che il tuo lavoro è in sala. Un periodo in cui fanno ancora 40 gradi e il primo giovedì può già decretare la morte del tuo film. Ci sono sicuramente dei modi, dei sistemi per aiutarci, ma non è il mio mestiere trovarli. Però mi chiedo: se questo tipo di film fosse eliminato, se non si facesse più, staremmo tutti meglio o peggio?
Le commedie, invece, piacciono.
Ma io non ce l’ho con l’intrattenimento in generale. Anzi: la nostra commedia all’italiana è una grande tradizione, fatta di film grandissimi che ti facevano ridere e piangere insieme. Ma l’intrattenimento che domina oggi, fatto per anestetizzare il cervello e svagarti a colpi di becerate no, faccio fatica ad accettarlo.
Si è fatto l’idea che in Inghilterra le cose vadano meglio?
Ho parlato con il direttore del festival di Londra, mi ha detto che un cineasta inglese oggi ha persino più difficoltà dei nostri a farsi produrre un film libero e indipendente. L’affetto del pubblico per prodotti off non è forte, la tenuta in sala di quel tipo di cinema è ridotta. Anche se in Italia siamo avvelenati da una pericolosa uniformità di pensiero, il problema purtroppo è globale.
Cosa si aspetta dal pubblico inglese?
Ho 45 anni, venti di cinema sulle spalle, e la speranza che quelli del mio film possano essere temi di interesse universale, che possano trovare pubblico. Quel che mi salva è pensare che se c’è anche solo una persona che si porta dentro il mio film, e si emoziona, in qualche modo ho vinto comunque. Certo, spesso si ha la sensazione che per qualcuno questo tipo di cinema non abbia futuro, che qualcuno lo consideri ormai una cosa quasi morta. Ma io non sono di quest’idea. Cosa mi aspetto, dunque? Non mi aspetto nulla. Distinguo tra la speranza, che è una cosa umana, e l’aspettativa, che genera solo frustrazione.
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