CANNES – “Sono un fan del cinema e prima di accettare un progetto ci penso più volte. Perché se prendo un impegno lo mantengo”. Viggo Mortensen sa bene quanto possa essere impegnativa la realizzazione e promozione di un film. Può durare molto tempo, anche un paio di anni. Lo ha raccontato nell’incontro organizzato dall’American Pavilion qui al Festival di Cannes.
Ma non è stata questa motivazione, oltre vent’anni fa, a fargli pensare di rifiutare inizialmente il ruolo di Aragorn ne Il Signore degli anelli. “Pensavo fosse un film solo per gli amanti di Tolkien. Se non fosse stato per mio figlio, che a quei tempi aveva 11 anni ed era un grande fan dei libri, non avrei accettato. Oltretutto avevo passato i provini molto più tardi rispetto agli altri colleghi che già avevano iniziato a fare le prove”.
Oggi l’attore newyorkese, 63 anni, non può che essere felice per aver detto di sì alla trilogia di Peter Jackson. “Mi ha permesso di fare tanti altri film e di diventare amico di Peter”, ha detto Mortensen, che ora aspetta di vedere la serie che uscirà il prossimo settembre su Prime Video, tratta da Il Silmarillion.
Oltre a Jackson, nel mondo del cinema l’attore ha stretto anche altri legami di amicizia, come quello con David Cronenberg da almeno diciotto anni. “Era il 2001 e qui a Cannes presentavamo i primi venti minuti de Il Signore degli anelli. Eravamo a una festa ed era molto tardi. È lì che ci siamo incontrati, anche se in maniera molto veloce. Tre anni dopo eravamo a Los Angeles a parlare di A History of Violence“. Quello è stato il primo film realizzato insieme, al quale hanno fatto seguito La promessa dell’assassino e A Dangerous Method, fino al quarto Crimes of the Future, in concorso quest’anno al Festival di Cannes.
“Quando ci vediamo io e David non parliamo sempre di film, ma anche di politica, letteratura, musica, storia. C’è grande sintonia tra noi, e poi lui è una persona dal grande senso dell’umorismo, anche nei confronti di se stesso”.
Per Mortensen è stato stimolante lavorare a Crimes of the Future, un film che Cronenberg aveva realizzato nel 1970, anche se in maniera diversa “È stato bello reinventare insieme a David questa storia. In questi quarant’anni è cambiato lui, ed è cambiato anche il mondo”.
Nel film, ambientato in un mondo distopico, l’attore è un artista performativo che usa il suo corpo in via di trasformazione e mutazione come forma d’arte. “David di ha affidato la libertà di dar vita al copione. Avevamo sei settimane – ha detto sempre Mortensen – Comunque penso ci sia bisogno di vedere più e più volte il film per coglierne ogni sfumatura”.
Del suo personaggio, ha poi spiegato: “È uno che non può stare in piedi o sedersi nella stessa posizione per più di trenta secondi, a volte non riesce a muoversi. Non è in alcun modo a suo agio nel proprio corpo. Ha difficoltà a digerire qualsiasi tipo di cibo o liquido. Non riesce a dormire bene. Cerca costantemente di apportare modifiche sul suo corpo e questo influisce sulla sua voce, sul suo respiro. C’è una strana contraddizione in lui. Da un lato è molto riservato, quasi al punto di essere paranoico, dall’altra parte la sua arte consiste nel mostrare pubblicamente la manipolazione del suo corpo. Quindi è come se lui volesse che le persone prestassero attenzione a lui”.
E una che lo fa nel film è il personaggio di Léa Seydoux, la sua partner artistica. “Con lei è stato facile creare la giusta chimica sul set, anche se in alcune scene abbiamo recitato nudi e c’erano lame da tutte le parti”, ha detto sorridendo. Gli imprevisti quando si gira un film sono all’ordine del giorno. La pandemia ha fatto spostare le riprese di Crimes of the Future dal Canada prima in Ungheria, e alla fine in Grecia, dove facevano più di 40 gradi, gli attori indossavano abiti pesanti e prostetici, e ad aiutarli non c’era neppure l’aria condizionata. Ma in queste situazioni bisogna comunque pensare positivo. “Da questo periodo ho imparato ad adattarmi e ad andare oltre. Bisogna fare amicizia con l’ostacolo. Se c’è un problema va affrontato, e vedere cosa c’è di buono. Io penso positivo, perché credo ci sia sempre qualcuno che sta peggio”.
Mortensen è stato candidato tre volte agli Oscar. Green Book, nel quale era il protagonista insieme a Mahershala Ali. ha vinto la statuetta come Miglior film nel 2019. Ma per l’attore i premi non contano poi così tanto. “Non faccio e promuovo film pensando che vinceranno qualcosa. Voglio che la gente veda i film che faccio perché penso abbiano qualcosa da dire e valga la pena guardarli. I premi possono aiutare però le persone ad andare al cinema o vedere il film in streaming”.
E ha raccontato un episodio che ha visto protagonisti Cronenberg e Pedro Almodovar proprio a Cannes. “Era il 1999 quando Cronenberg ha assegnato la Palma d’oro a Rosetta dei fratelli Dardenne, dopo un consenso unanime della giuria. Almodovar che aveva Tutto su mia madre in competizione disse di esser stato derubato della vittoria. Comportamenti che mi hanno ricordato quelli di Donald Trump”.
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