Un paese senza fabbriche, con le miniere abbandonate. Soli 15 chilometri di ferrovia che attraversano un territorio invaso dal deserto, tranne che per il 15% (di cui il 7 coltivato a oppio). Stiamo parlando dell’Afghanistan. Da domenica notte bersaglio delle bombe angloamericane in risposta agli attentati terroristici di New York e Washington dell’11 settembre.
Questo il quadro geopolitico che inquadra la tavola rotonda di presentazione del film Viaggio a Kandahar, diretto dall’iraniano Mohsen Makhmalbaf, già in concorso al Festival di Cannes 2001, in uscita in 30 sale italiane a partite da 12 ottobre distribuito da Bim.
Un film che, alla luce dei tragici eventi di oggi, diventa ancora più prezioso. Per il coraggio di raccontare la realtà di un paese in fiamme, con milioni di profughi che premono ai confini di Pakistan e Iran. In primo luogo le donne, costrette ogni mattina a indossare la prigione del burka. Persone troppo spesso dimenticate, che, da almeno 6 anni, muoiono di stenti nell’indifferenza della politica internazionale.
Alle preoccupazioni di Makhmalbaf e dell’attrice protagonista, Nilofar Pazira, profuga afgana rifugiata in Canada, fanno eco quelle della giornalista Miriam Mafai, delle europarlamentari Emma Bonino e Luisa Morgantini, della presidente dell’Aidos (Associazione italiana Donne per lo Sviluppo) Daniela Colombo, del responsabile di Amnesty International per il Sud Asia e Medio Oriente Luca Lo Presti e di alcuni rappresentati di Medici senza Frontiere. Tutti partecipi della tragedia che attraversa un’intera popolazione e, con essa, il mondo.
“Purtroppo l’Occidente reagisce solo se minacciato” denuncia Makhmalbaf, dichiarandosi molto scettico sull’uso della forza militare. “La guerra in Afghanistan non è iniziata ieri, ma prosegue ininterrotta da circa 30 anni. Intere generazioni non hanno conosciuto altro. E’ necessario invece invertire questa rotta. Magari al posto delle bombe scegliere di lanciare libri. Seminare cultura, non le mine!”.
Più sfumata la posizione di Miriam Mafai e Emma Bonino, che pur riconoscendo le responsabilità dell’Occidente, ritengono l’intervento militare non risolutivo, ma indispensabile a frenare l’arroganza della dittatura e del terrore dei talibani.
Non sempre le ragioni della politica coincidono con quelle dell’etica. E’ proprio questa la chiave del conflitto nel conflitto che più divide la platea. Nessuno è tanto ingenuo da parlare di missili intelligenti e tutti convengono che la mostruosità dei talibani ha origini ben radicate negli interessi dell’Occidente.
Il dato più positivo è che ognuno, a modo suo, sente il bisogno di guardare al domani. A un futuro che, come ha anticipato anche il Presidente Bush, è ancora lontano. Il futuro porrà le basi per la ricostruzione di un popolo la cui unica cultura superstite è quella dell’odio e della violenza e la guerra unico addestramento e opportunità di lavoro.
E mentre Makhmalbaf reclama un ruolo politico per l’Afganistan e la sua attrice auspica l’intervento di forze internazionali per sfamare il paese, Emma Bonino rilancia, denunciando altri luoghi, come il Sudan o la Cecenia, dove vengono violati diritti umani e civili. Altri focolai che, a suo avviso, covano tragedie.
Makhmalbaf chiama in causa anche Hollywood, artefice dell’immaginario collettivo che ha prodotto Rambo. Unica pellicola dedicata all’Afghanistan, come ricorda Pazira. E il paragone con Viaggio a Kandahar è quantomeno fuori luogo e grottesco.
Il richiamo dei muscoli deve cedere il passo a un nuovo corso della politica internazionale. Il tavolo delle trattative ha bisogno di altri codici e di un impegno istituzionale mondiale a favore dei diritti e della libertà dei popoli. “E le donne devono sedere a quel tavolo”, conclude Daniela Colombo, Presidente dell’Associazione italiana Donne e Sviluppo, che ha avviato il progetto di Borse di studio per bambine afgane. Le prime 15 frequentano dal settembre 2001 la Beaconhouse School di Peshawar in Pakistan.
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