Equipe medica d’eccellenza, tra i pazienti persino il Papa – due chirurghi, una “ferrista” e un anestesista – precisi sul lavoro e goliardici nella vita privata, sempre pronti a fare scherzi, soprattutto ai danni di Amedeo, il più tranquillo e fragile del quartetto. Sono i protagonisti della nuova commedia di Carlo Verdone, Si vive una volta sola, ventisettesimo film da regista, scritto con Giovanni Veronesi (“la sua comicità toscana è cinica e anche cattiva, mi dà una spinta”) e Pasquale Plastino (“l’ago della bilancia, che non ride quasi mai”), in sala dal 26 febbraio con Filmauro e Vision Distribution. E non è mancata la polemica, con accuse di maschilismo per il ripetuto impiego dell’epiteto “zoccole” ai danni di mogli, figlie, ex mogli, fidanzate e incontri occasionali: a innescarla un articolo sul blog dell’Huffington Post a firma di Teresa Marchesi, “Verdone scivola sui cliché. Carlo, perché?” che ha fatto discutere sui social.
Tanto abili nel lavoro quando disastrati negli affetti: il luminare Umberto Gastaldi (Verdone) è il padre inadeguato di una ragazza che vuol far carriera come vedette tv puntando sul lato B (Mariana Falace), la strumentista Lucia Santilli (Anna Foglietta) si innamora sempre dell’uomo sbagliato, l’anestesista Amedeo Lasalandra (Rocco Papaleo) è alla continua ricerca di sesso, e l’assistente Corrado Pezzella (Max Tortora) ha una moglie con la passione per i tartufi e per il radiologo dell’ospedale…
E se nella prima parte – girata a Roma – il racconto si concentra sulla descrizione delle beffe architettate contro Amedeo, nella seconda, on the road in Puglia, emerge la malinconia che abita questi personaggi, confrontati con il tema della morte imminente di uno di loro. C’è un po’ di Amici miei ma anche echi di commedia italiana alla Germi? “Germi è stato un regista enorme – risponde Verdone – non so se posso competere con lui. La sua lezione, certo, l’ho appresa. Come quella di Pietrangeli. C’è la commedia italiana nel meccanismo, nelle relazioni con gli attori, nella cialtroneria e nel senso di solitudine. Quanto ad Amici miei (diretto da Monicelli ma nato da un’idea di Germi, ndr) non volevamo fare omaggio a quel mitico film a cui non ritengo neppure di potermi accostare”.
E’ una fase di rinascita del cinema italiano, soprattutto nell’affezione del pubblico. “Il cinema italiano – riflette Carlo – ha ritrovato la fiducia del pubblico con un +15%, finora ogni anno eravamo lì a piangere sulle nostre sorti. Se i film incassano, per esempio quello di Aldo Giovanni e Giacomo, è un bene per tutti, vuol dire che sono film migliori, più curati. Ci siamo rimboccati le maniche per contrastare le serie tv e il calcio. Che dobbiamo fare? Scrivere meglio, dare il massimo, fare commedie intelligenti che lascino qualcosa. C’è stato uno scatto in questo senso e i risultati parlano chiaro. Si sono riaffacciati anche i giovani. La commedia deve contenere piccole riflessioni, critica sociale, il riconoscimento delle fragilità attuali”. Interviene Veronesi: “La gente non andava più a vedere il cinema italiano, eppure c’erano cose pregevoli, piccoli film molto belli, come Manuel per esempio. Bisogna stare attenti a queste cose, premiarle. Il pubblico che torna al cinema grazie ai film di richiamo, poi potrà vedere anche questi piccoli film. La gente non è stupida e segue un’onda molto precisa”.
Verdone, 70 anni il 17 novembre, si è ritagliato un ruolo quasi da moralista, da osservatore dei costumi. Invita i giovani a non drogarsi, a non esagerare in discoteca, osserva con sguardo paterno gli amici coinvolti in tresche sessuali e lui stesso rischia di essere coinvolto in un ménage a trois con una anziana coppia, ma se ne va sdegnato. “Era un film delicato da girare – afferma – poteva diventare una storiellina, necessitava di iniezioni di spessore che sono arrivate dagli sceneggiatori e dalla recitazione. Raramente ho avuto un cast con cui ho lavorato così bene, penso che anche i prossimi film saranno corali come questo, dopo un paio di titoli con una coprotagonista femminile come Benedetta follia e L’abbiamo fatta grossa“.
Nonostante la sua fissazione, da sempre, per farmaci e diagnosi, e persino la laurea honoris causa, la prima idea è venuta a Veronesi. “Mi ha suggerito lui il seme, la prima intuizione. La mia passione per la medicina comincia a rompere le scatole… Però è vero, è la prima volta da chirurgo. In Manuale d’amore facevo il pediatra, in Viaggi di nozze il marito della povera Fosca è un medico. Sul set, e in sala operatoria, abbiamo avuto un consulente, un dottorino, che ci ha indicato come muoverci. E poi sono stato presente a qualche operazione. Non dico che si divertono ma parlano di qualsiasi altra cosa, dal calcio alla cena, si prendono in giro tra loro. Certo, è molto legato al tipo di intervento che vanno a fare, ma per le operazioni più semplici è così”.
Ama gli scherzi? “Nel mio libro autobiografico La casa sopra i portici racconto alcuni scherzi terribili fatti ai miei genitori. Una volta, tornavano dall’opera e feci trovare la casa aperta, tutta sottosopra, con la passata Cirio avevo simulato macchie di sangue ovunque, mia madre è stata male, ha avuto uno sbalzo di pressione. Un’altra volta ho chiamato mio figlio che aveva 8 anni e giocava bene a pallone. Mi sono finto il segretario di Francesco Totti che voleva fargli un provino. Lui ci ha creduto e quando ha scoperto che era uno scherzo non mi ha parlato per un mese e mezzo. Da allora mi sono fermato, ho capito che puoi fare del male”.
La scelta di girare in Puglia. “Roma è sempre una coprotagonista e certe volte ti tarpa le ali. Sempre lo stesso clima, lo stesso ambiente, gli stessi generici. I miei film migliori li ho fatti quando sono andato fuori, a Bruxelles, in Cornovaglia, a Milano… qui c’era un viaggio nella sceneggiatura e la Puglia mi ha dato una suggestione importante”.
E sul senso di malinconia che il film trasmette. “Sono personaggi smarriti, soli, non perfettamente felici. Per questo sono tanto goliardi. Quanti ne conosco che sono dei fenomeni nella professione ma poi il loro privato non corrisponde alla venerazione di cui godono in pubblico. Però nel film c’è una speranza, un barlume di ottimismo, nel rapporto ritrovato con la figlia del professor Gastaldi, per esempio. Eppure non abdichiamo alla serietà. Dopo la grande paura che i personaggi vivono, le cose andranno un pochino meglio, ma continueranno a prendersi in giro”.
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