“Vorrei essere ricordata per essere stata me stessa”: Amy Winehouse di certo ci è riuscita, tragicamente, fino alla fine. Dopo un documentario da Oscar (Amy del 2015), arriva nelle sale dal 18 aprile Back to Black, il primo film di finzione dedicato alla grande cantautrice britannica dal talento folgorante e dall’infelice destino.
Diretto da Sam Taylor-Johnson, il film prova a riportare in vita sul grande schermo l’indimenticabile Amy grazie all’interpretazione convincente di Marisa Abela, chiamata di certo a un’impresa tutt’altro che facile nel riprodurre non solo l’inimitabile voce ma anche le movenze e lo stile “vintage” che contraddistingueva la cantante.
Ma chi era Amy Winehouse? Forse è più facile dire chi non era. “Non sono una Spice Girl”, “Non sono Rock ‘n’ Roll, sono Jazz” si sente dire nel film, in un travagliato sforzo di carpire i segreti di una personalità indecifrabile: una giovane donna che faceva sempre esattamente quello che voleva, impulsiva, inarrestabile e incline all’autosabotaggio.
Un’artista a cui non interessava nulla della fama e della ricchezza, ma che ha ottenuto entrambe sospinta da una voce straordinaria e da delle canzoni, che scriveva semplicemente perché non poteva farne a meno.
Nata in un sobborgo di Londra a inizio anni ’80, cresce ispirata dal talento musicale della nonna, ex cantante jazz.
Inizia il suo viaggio nella musica professionale fin da giovanissima, pubblicando il suo primo album a soli vent’anni.
La consacrazione arriverà poco dopo, con il suo secondo album, che le valse la vittoria di ben cinque Grammy lanciandola nell’olimpo delle giovani musiciste migliori del panorama mondiale.
Ma con il successo, l’artista perse completamente la capacità di controllo sulla propria vita, lasciandosi divorare dai mali che la tormentavano fin dall’adolescenza.
Non arriverà a pubblicare il suo terzo album (rilasciato poi postumo), morendo improvvisamente ad appena 27 anni, probabilmente per lo shock provocato da un abuso di alcool.
Forse stupirà qualcuno sapere che Back to Black è fondamentalmente un film sentimentale, in quanto mette in scena per la sua maggior parte il rapporto tra Amy e quello che è stato l’amore della sua vita, Blake.
Un uomo che rappresenta la sua perfetta controparte, un’anima gemella che la porterà verso l’autodistruzione. Il rapporto disfunzionale tra i due protagonisti del film si fonda tutto su un amore che ha “salvato Amy dalla noia”, ma che diventerà un’ossessione, indirizzando nel bene e nel male tutti i momenti più importanti della sua vita. E anche la sua morte.
Sorprenderà sapere – e forse vi eviterà una delusione – che la morte di Amy non è praticamente trattata in questo film, che, in effetti, spesso racconta fuori dallo schermo più di quanto faccia al suo interno.
Per l’autrice, probabilmente, era più importante capire le ragioni profonde che hanno fatto entrare Amy nel club dei 27, piuttosto che le dinamiche precise (tra l’altro ancora non del tutto chiare).
Certamente Amy Winehouse è stata una tossicodipendente e un’alcolizzata, oltre ad avere avuto diversi disturbi dell’alimentazione, ma a guidarla nel suo tragico percorso è stato un approccio completamente anarchico che le apparteneva naturalmente e che probabilmente l’ha resa così speciale.
Questo suo vivere fuori dal tempo, sia nel passato – con uno stile che richiamava apertamente agli anni ‘60 – che nel futuro, con dei brani che hanno lasciato un’eredità importante nella storia della musica, è tra le ragioni che l’hanno resa eterna nonostante una carriera brevissima.
Proprio le sue hit sono il centro focale di tutto il film, venendo proposte a volte in arrangiamenti cantati dalla stessa Abela, ma più spesso utilizzando le tracce originali, integralmente.
Le canzoni più importanti della carriera di Amy Winehouse – da Rehab, a Love is a losing game, fino ad arrivare alla stessa Back to Black – vengono messe in scena per intero e spesso si ha la fastidiosa sensazione che tutto il film sia una sorta di riempitivo, un modo per giustificare e dare significato alle parole scritte da Amy.
E quasi sempre la risposta è il rapporto travagliato con Blake. Al netto di ottime interpretazioni e di un sincero rispetto nei confronti di Amy, forse si poteva fare un po’ di più per omaggiare la memoria di un artista che era senz’altro più delle canzoni che aveva scritto e dell’uomo che amava.
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