Senza Sarajevo non esisterebbe Venuto al mondo, il romanzo di Margaret Mazzantini, vincitore del Premio Campiello, che sta diventando un film diretto dal marito Sergio Castellitto e interpretato ancora una volta, a sette anni da Non ti muovere, da Penelope Cruz. Il film sarà in sala tra un anno e i riferimenti alla trama sono volutamente piuttosto vaghi. Ma non quando si parla della città della Bosnia Erzegovina. “La prima volta siamo stati a Sarajevo cinque anni fa – racconta Castellitto – solo per quattro giorni, dal giovedì alla domenica. Quando siamo tornati a Roma, il lunedì, Margaret ha cominciato a scrivere questo libro. Quando l’ha pubblicato le sono arrivate centinaia di email di persone che le chiedevano se aveva vissuto a Sarajevo, se era bosniaca, se aveva partecipato all’assedio… Niente di tutto questo, in soli tre giorni aveva assorbito lo spirito di quella città, una cosa degna di Salgari. È un luogo che ti conquista e ti lascia una sorta di mal d’Africa perché unisce dolore, pena, nostalgia, ebbrezza, sensualità, rabbia… Anche la guerra non è stata una guerra, ma un assedio di cui restano negli occhi la corsa di un uomo disperato con una tanica d’acqua che spera di non essere colpito dal cecchino e i bambini uccisi sulla neve. Oggi è una città che vuole ricominciare, ma che sta ancora come in un limbo”.
Protagonista della preapertura del Festival di Roma, l’attore-regista romano, che l’anno scorso era stato presidente della giuria, ha animato un duetto o meglio un quartetto condotto da Mario Sesti e Piera Detassis. Sul palco di Extra, la sezione che ha inventato queste lezioni di cinema sempre molto popolari a cui hanno partecipato personaggi come Bob De Niro e Meryl Streep, c’erano stavolta Castellitto e la sua musa Penelope Cruz, per la prima volta dunque una coppia internazionale. Quindi sono saliti anche Margaret Mazzantini e il giovane Emile Hirsch, che Sean Penn aveva fatto attraversare l’America da cima a fondo nel bellissimo Into the Wild, e che adesso è Diego, “col suo sguardo pieno di purezza e saggezza”. Diego è il fotografo di pozzanghere del libro di Margaret Mazzantini, il padre di Pietro. E Pietro è un ragazzo ha sedici anni che accompagna sua madre Gemma in un viaggio a ritroso, un ritorno nella città ferita dalla guerra che nasconde altre ferite e segreti. A Sarajevo incontrano Gojko, poeta bosniaco, amore mancato di Gemma, che l’aveva conosciuto durante le Olimpiadi invernali del 1984. Ma il romanzo è anche – anzi soprattutto – la storia di una maternità negata e poi ottenuta a tutti i costi. E attorno a questo è giusto che aleggi un alone di mistero almeno per chi non ha letto il libro.
“Essere madre – spiega l’attrice di Almodovar, che preferisce parlare italiano – è l’esperienza più forte che puoi avere come donna”. Lei un figlio l’ha avuto da poco, con Bardem, e l’incontro con Gemma le è sembrato perfetto. La cosa giusta al momento giusto. “Gemma, è un omaggio a tutte le madri del mondo, una donna ossessionata dalla maternità. È uno dei più bei personaggi della mia carriera, forse il più forte”. Si vede che sono immersi ancora nel liquido amniotico del set da cui si sono staccati per poco, arrivando con mezz’ora di ritardo all’Auditorium. Su quel set, ogni giorno c’è anche la scrittrice. “In genere gli scrittori non amano i film tratti dai loro libri – spiega Margaret – ma con Sergio è diverso, lavoriamo insieme fin da subito, lui rilegge le bozze dei miei libri e a me piace stare nelle retrovie, mi piace fare il lavoro sporco”. Insieme hanno fatto anche La bellezza del somaro, tutt’altra storia. Questa vicenda è tutt’altro che farsesca, duro riviverla. “Come è stato duro scrivere un romanzo che rimanda agli ultimi vent’anni della storia d’Europa”. Di Gemma dice che è una donna algida, stagnante, chiusa. “Ma che si apre a un amore folle e un desiderio di maternità quasi animalesco. Penelope, che sa essere miserabile e dea, la incarna perfettamente, mentre Emile è un vero eroe romantico”.
Il ventiseienne Hirsch era addirittura esaltato all’idea di lavorare con Penelope Cruz. “Avevo visto Non ti muovere e mi era sembrato un film pieno di passione senza essere sentimentale. Del mio personaggio, Diego, posso dire che è uno spirito libero”. “Emile è uno degli attori più bravi che ho incontrato, da subito l’ho voluto nel film”, spiega Castellitto, che si è ritagliato invece il ruolo minore del terzo marito di Gemma. Inevitabile un parallelo con Non ti muovere che a Penelope regalò il David di Donatello. “Al centro ci sono due figure femminili eccezionali nella loro normalità, ma sono due donne completamente diverse: Italia è il contrario di Gemma, che è il primo personaggio profondamente borghese incarnato da Penelope”.
“Italia e Gemma mi hanno cambiato come donna e come artista – incalza l’attrice spagnola – quando ho fatto Non ti muovere, sono venuta due mesi prima in Italia e la gente mi fermava per strada e mi chiedeva se ero proprio sicura di volerlo fare, io che sono spagnola. Stavolta sento addirittura di aver vinto la lotteria, anche se il film è faticoso e complesso, io mi sveglio ogni giorno con un sorriso sulle labbra”.
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