Pressappoco 60 anni di differenza: praticamente due generazioni corrono tra Agnès Varda e JR, eppure l’anagrafe non conta, non solo perché il cinema e l’arte non hanno età, ma soprattutto perché lei vive animata, sul grande schermo e di persona, da una mitica vitalità, che abbatte qualsiasi temporalità.
Il cinema lei, la fotografia e il collage lui: l’incontro recente, nel 2015, di due universi “a contatto” e distaccati al tempo stesso. La Nouvelle Vague per lei, il mondo hipster per lui, eppure una visione e una narrazione all’unisono: Visages Villages è un album visivo di volti e voci capaci di raccontare lo sguardo plurale sul mondo, per mettere a fuoco il tipo di società che stiamo diventando, una società bulimica ed egocentrica. Tutto questo è stato possibile nell’uso narrativo e sociologico delle persone incontrate per le vie di tutta la Francia non urbana, fuori dalle grandi città. Strade che la coppia ha percorso insieme, in un viaggio itinerante durato, ad intermittenza, per alcuni mesi.
“Il soggetto principale del film sono state le persone e nostro desiderio era che il pubblico poi le amasse: conoscete Janine, figlia di un minatore, conoscete i pescatori, l’allevatrice di capre. E anche noi abbiamo imparato parecchie cose: si pensa al mondo agricolo come un po’ antico, invece abbiamo incontrato un agricoltore che da solo, dal computer, controlla tutto il suo lavoro, 800 ettari di terra, una scoperta per noi”, dice Agnès Varda, introducendo il film.
La regista, nata in Belgio nel 1928, nell’incontro romano, moderato dal direttore della Cineteca di Bologna, Gian Luca Farinelli, ha ulteriormente vitalizzato il suo spirito cinefilo e questo ultimo lavoro per immagini, raccontando generosamente ogni dettaglio e curiosità.
“La cucina – spazio in cui avvengono alcune conversazioni preparatorie e di confronto tra JR e lei – è un luogo di altissima cultura e conversazione. Nel film le scene in cucina non sono state casuali: erano preparate, ma è questa l’unica parte non documentaria. Tutte le altre sequenze sono frutto di incontri spontanei con le persone”.
JR – non presente fisicamente all’incontro romano, ma in forma di spassoso cartonato accanto alla sua co-regista – non è difficile da definire, dice Agnès Varda. “Con il suo furgone/progetto Inside Out crea legami sociali e artistici, questo il suo obiettivo, la sua voglia. L’arte può cambiare lo sguardo su chiunque abbiamo vicino. E creare legami sociali è alla base del suo operato”.
Varda precisa che: “Il nostro lavoro è stato complementare, ma l’empatia la stessa. A nessuna delle persone incontrate abbiamo chiesto un’opinione politica, ma la partecipazione come esseri umani e loro hanno capito che non ci ponevamo come artisti che si collocano su un piedistallo, ma alla loro portata”.
Dettaglio particolare del rapporto affettivo, oltre che artistico, nato tra la novantenne regista e il trentacinquenne fotografo, che evidenzia lei stessa, riferendo un particolare, che si estrapola da un dialogo del film sulla morte e sulla paura della morte. Agnès Varda racconta di non averne timore, ma di aspettarla in quanto punto di fine. Riprendendo il passaggio, Varda precisa: “Anzitutto, non sono ancora morta. Ma la cosa che mi interessava era poter scherzare con un uomo molto giovane sul tempo che passa, mentre lui si divertiva a fotografarmi i piedi, le cui gigantografie ha poi incollato su dei vagoni, questo perché per JR era il modo per farli arrivare dove, da sola, ora non arriverò più”.
In questo documentario fotografia e cinema si coniugano e la regista spiega che: “questo è il rapporto che racconta un po’ tutta la mia vita, le mie tre vite: di fotografa, regista e artista. Nel film tutto è stato a quattro mani e a quattro occhi, tutto fatto sempre insieme. Ma ‘in fondo l’arte è fatta proprio per sorprendere’, come ha detto anche uno dei nostri operai intervistati. Fotografia e cinema sono diverse, a volte gli sguardi sono differenti, altre volte no, ma io, nella mia vita, ho spesso mischiato, perché mi piace distruggere le barriere”.
Il documentario ha ottenuto molti riconoscimenti: L’Oeil d’or a Cannes, il premio Miglior Documentario per il New York Film Critics Circle, il premio Miglior Documentario per la Los Angeles Film Critics Association, oltre alla nomination all’Oscar nella sezione Documentario. Inoltre, Agnès Varda, in prima persona, è stata insignita dell’Oscar alla Carriera nello scorso novembre, prima donna in assoluto a ricevere il premio. “Mi sono sentita una piccola regina”, ha commentato a distanza di alcuni mesi.
Visages Villages esce in sala il 15 marzo, in 26 copie, distribuito dalla Cineteca di Bologna. Il documentario è stato prodotto dalla figlia di lei, Rosalie Varda, che ha avuto l’idea del crowdfunding, che la regista ha spiegato essere: “cosa per me insolita, ma che ci ha permesso di partire, viaggiando una settimana al mese”. Sono state più di 400 persone ad aderire, e sono tutte nominate nei titoli di testa. Successivamente il film è entrato nelle dinamiche classiche della produzione e distribuzione. “Ho trovato interessante questa formula, perché ci ha permesso di iniziare a realizzare subito il progetto”, ha concluso Agnès Varda.
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