Il panorama contemporaneo dell’arte sta attingendo spesso alla Storia dell’arte stessa, antica, come recente, per declinarne possibili immaginari coadiuvati dalle nuove tecnologie, o nell’incontro ibrido con le stesse. Vincent Van Gogh, in questa modalità di visione, l’abbiamo già incontrato di recente in Italia in una mostra immersiva in cui le sue tele si sono dilatate in un formato macroscopico, permettendo di passeggiarci “dentro” a misura reale: Loving Vincent è un’ulteriore visione della pittura dell’artista, partendo proprio dalla materia prima, dal colore su tela, steso con il pennello. Per questo il film non sembra un rimaneggiamento di una creazione sublime, ma un’eco dell’immagine pittorica che amplifica, impreziosisce e fa esplodere di bellezza l’originale.
Una tecnica mista – dal vero e dipinta, naturalmente animata, per la più parte in rotoscope – che però, nel complesso, si mostra uniforme per 65mila inquadrature, meravigliosa conseguenza della rielaborazione di più di un migliaio di dipinti: tutto quello che scorre sullo schermo lo guardiamo dipinto, letteralmente. Il tratto del pennello colorato si anima, vibra ma non distorce, non reinterpreta Van Gogh, lo rispetta massimamente, e con lui le sue tele. Loving Vincent incanta perché la potenza di una creazione artistica statica, potenziata dalle dimensioni giganti del grande schermo, e soprattutto dalla resa pittorica dell’immagine, colpisce lo sguardo senza limitarsi all’ammirazione estetica, piuttosto toccandone anche le corde emotive connesse.
Narrativamente, il film racconta uno spaccato della biografia del pittore con “la voce” dei soggetti delle sue tele: Armand Roulin (Douglas Booth), cappello a falda larga e giacca gialla, figlio del postino con la barba, Joseph Roulin (Chris O’Dowd), intraprende un viaggio da Arles, passando per Parigi e l’incontro con lo storico proprietario del negozio di colori, Tanguy (John Sessions), diretto al villaggio dove Van Gogh ha trascorso gli ultimi periodi della sua vita, Auverse–sur–Oise, nell’Île-de-France, deciso ad indagare sulle cause che hanno spinto il pittore a togliersi la vita. Vento, pioggia, sole e stelle, si vedono, ove possibile si sentono nel diegetico, suono che concorre anch’esso a raccontare e potenziare lo spirito, il gusto e l’artista: le sue condizioni atmosferiche predilette, la natura più amata, ritornano spesso, ricordando in continuazione che quello che vediamo – sì, anche la visione in sé – è narrazione biografica.
Il film è una tela perenne per l’intera durata della pellicola, ti mette dinnanzi agli occhi Van Gogh in un’ininterrotta sequenza, un flusso di quadri pittorici, in cui il cinema e le sue tecniche funzionano da macchine capaci di amplificare al massimo lo stile, la materia, la cromia, donando meraviglia. Loving Vincent, un produzione britannico-polacca, è un evento per il grande schermo, nelle sale 16-17-18 ottobre.
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