Nel catalogo della Semaine l’hanno accostato a Visconti e Rossellini, ma riconoscendogli una qualità del tutto autonoma. Di un autore che ha studiato alla New York University, che ha tra i suoi modelli Cassavetes, ma che è tornato in Italia, a Lampedusa, per girare il suo secondo film, dopo il successo, anche al Sundance, dell’opera prima Once we were strangers. “Gli americani mi hanno insegnato a non spersonalizzarmi, perciò mi dispiace quando mi dicono che Respiro non sembra un film italiano” dice Emanuele Crialese.
Gli fa molto piacere, invece, il calore che si sprigiona attorno al film, nelle sale dal 22 maggio e presto anche in Francia, grazie alla coproduzione tra Procacci e Anne-Dominique Toussaint.
Accanto al regista Valeria Golino, l’unica attrice, insieme a Vincenzo Amato, in un cast di isolani di Lampedusa, bambini che giocano in strada, pescatori o donne che lavorano nell’industria dove si inscatola il pesce. Per amalgamarli c’è voluto un metodo. Un anno passato sull’isola dal regista e qualche settimana di improvvisazioni per gli interpreti. “Alcune scene – racconta Valeria – le abbiamo provate tantissime volte, proprio per evitare i cliché o superare il senso del ridicolo: ad esempio quella in cui mi avvolgo nella rete da pesca e che sarebbe diventata facilmente artificiosa”.
“Respiro” è un film molto scritto ma la Lampedusa che viene raccontata è del tutto reale.
Assolutamente. L’isola è proprio così, non c’è l’ospedale, la gente vive abbandonata a se stessa, la televisione impera. Eppure i bambini la ignorano e continuano a cacciare con la fionda e picchiarsi.
Credi che il fascino del film dipenda in parte da questo?
Con gli stessi elementi – quell’isola, quella storia, quegli attori – si poteva fare un brutto lavoro, una cosa già vista. Credo che il film sia del regista, perché è suo il modo di guardare le cose.
E la tua presenza?
Crialese mi ha sempre detto che voleva me oppure un’attrice sconosciuta. Io, per essere nota, riesco a risultare poco catalogabile e riconoscibile. Non mi sento una celebrità e neppure un personaggio, non ho mai fatto televisione o pubblicità.
Qui hai lavorato molto anche sul dialetto…
Sì, con una ragazza che mi ha insegnato a parlare il siciliano di Lampedusa. Dopo le prove sono partita per girare Frida Kahlo, ma Crialese non voleva, mi ha detto “tornerai dal Messico rovinata, parlerai americano”.
Che impressione hai del cinema italiano? Ti sembra che l’atteggiamento del pubblico stia cambiando?
Sì, grazie a Muccino, Ozpetek… oppure a un film come Pane e tulipani. Finalmente adesso la gente sa chi è Soldini. E magari gli verrà voglia di vedere Le acrobate.
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