BERLINO – I rapporti umani, soprattutto quelli familiari, possono essere difficili, controversi, persino violenti. C’è una linea invisibile e invalicabile che sarebbe bene non superare mai. Quel confine si materializza nell’ultimo film al femminile di Ursula Meier La Ligne, in concorso al Festival di Berlino, con protagoniste Stéphanie Blanchoud (anche co-sceneggiatrice), Valeria Bruni Tedeschi, Elli Spagnolo e India Hair. Al centro della storia ci sono una madre e tre figlie. Margaret, 35 anni, è la primogenita e si ribella a una figura genitoriale che non le ha dato mai amore, così presa da se stessa e dalla sua musica (altra protagonista del film). Dopo una violenta lite, la giovane viene sottoposta a un ordine restrittivo. Non può avvicinarsi per tre mesi alla casa di sua madre, dove vive anche la sorella 12enne, la dolce e indifesa Marion, che si trova così in mezzo a due fuochi.
La regista svizzera è partita dall’idea di raccontare la storia di un personaggio violento, ribaltando però i canoni di genere. “La violenza è spesso rappresentata dagli uomini, io ho voluto metterla in scena attraverso una figura femminile, che non è un’adolescente ribelle, ma una giovane donna che mostra le sue cicatrici interiori e fisiche – ha spiegato Meier alla stampa internazionale – Margaret combatte. Ogni volta che si ritrova in una situazione che la tocca o la ferisce profondamente, non usa le parole. Dentro di lei esplode qualcosa di selvaggio che prende il sopravvento. Ogni pugno che dà o riceve conferma questo bisogno sfrenato di amore sepolto nel suo cuore”.
Margaret combatte contro se stessa e la violenza dentro di lei che può esplodere in qualsiasi momento. Ad alimentarla è una madre rimasta bambina, una pianista fallita rimasta incinta a vent’anni, che pensa che il vuoto possa essere colmato dall’amore degli uomini, che vanno e vengono nella sua vita, e non da quello delle sue tre figlie. Margaret soffre da quando è ragazza per questa madre così puerile, fuggente, irrisolta, colpevole.
“La storia inizia con una vittima e un aggressore, ma più avanza e più si ribaltano i ruoli. Perché esistono tante forme di violenza, ce n’è una più subdola, che si muove da sotto”, ha spiegato ancora Meier. “Christina è una donna incapace di amare le sue figlie, di essere dolce con loro. È un personaggio anche antipatico. È stato importante per me lavorare su questi aspetti”, ha detto Bruni Tedeschi del suo personaggio di madre, che materno non è affatto.
Ma La Ligne è anche un film sul confinamento, con Margaret che non può superare appunto una certa linea, che la sorellina decide di delimitare fisicamente intorno alla casa con della vernice azzurra. “È una specie di cordone sanitario, come se Margaret fosse in quarantena”, ha detto sempre Meier, che ha girato un film così fisico e intenso di emozioni in un momento in cui la distanza sociale era (ed è ancora) obbligatoria.
Nella seconda giornata della Berlinale la competizione ha visto protagonista anche Rimini, opera triste e romantica dell’austriaco Ulrich Seidl che ha ambientato il suo film principalmente nella cittadina della riviera romagnola. Protagonista è il crooner e gigolò attempato Richie Bravo (Michael Thomas), una volta una celebre star, che insegue la sua gloria sbiadita in un’invernale Rimini, concedendo notti di sesso alle fan di una certa età. Quando un giorno sua figlia, ormai adulta, si trova di fronte a lui e gli chiede i soldi che non le ha mai dato, il suo mondo inizia a crollare. Nel frattempo, il suo anziano padre, che soffre di demenza, si trasferisce in una casa di cura austriaca.
“Anche al centro di questo film, come nei miei precedenti ci sono i desideri insoddisfatti che fanno parte della realtà delle persone, anche se possono risultare disturbanti – ha detto Seidl – Richie e le sue clienti cercano la felicità attraverso il sesso, ma poi si ritrovano soli”.
In Rimini c’è la ricerca della felicità da parte del protagonista e il suo tentativo di lasciarsi alle spalle un passato che ritorna, portando a galla una verità che è amara ma anche liberatoria. “Tutto questo riguarda il desiderio di amore, il baratto sessuale e la solitudine in una storia, anche familiare, che abbraccia tre generazioni”, ha spiegato sempre il regista, che è partito da un aspetto autobiografico per girare il film. “I miei genitori quando ero bambino negli anni ’50 mi portavano a trascorrere le vacanze al mare. Riesco ancora a vedermi giocare sulla spiaggia con mio fratello nei nostri semplici pantaloni neri. Quell’atmosfera e quelle immagini che ho vissuto da ragazzino mi hanno spinto ad ambientare lì questa storia”.
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