Nella società civile così come nel cinema, che ne è lo specchio, la scuola sembra essere diventata il campo di battaglia privilegiato di tensioni e spaccature politiche insanabili e urticanti. Così accade in Sesso sfortunato o follie porno di Radu Jude, dalla Romania, o nel fortunato La sala professori di İlker Çatak giunto alla cinquina degli Oscar in rappresentanza della Germania. Ora, alla lista si aggiunge il notevole Una spiegazione per tutto, premiato a Venezia Orizzonti come Miglior Film e in uscita il primo maggio.
Siamo a Budapest, nell’Ungheria contemporanea, profondamente divisa tra conservatori e liberali, sostenitori di Orban e ferrei oppositori del governo. Il giovane Abel prepara svogliatamente l’esame di maturità. Ha un padre molto esigente e severo ed è innamorato della sua migliore amica Janka, compagna di scuola che invece si è presa una cotta per il professore di Storia Jakab. Il ragazzo fa scena muta proprio all’interrogazione di questa materia, non riuscendo a parlare né della Rivoluzione industriale né di Giulio Cesare. Ma poiché porta al bavero della giacca la coccarda tricolore simbolo della nazione e poiché il professore gliene chiede conto, finisce per passare per un martire politico, in un caso mediatico alimentato da una giovane giornalista a caccia di visibilità.
Il film, che ha a tratti la freschezza di una caméra stylo e in cui si respira un’atmosfera un po’ Nouvelle Vague, segue un andamento temporale preciso, nell’arco di nove giorni, scandito da titoli a volte ironici (come quel “La domenica non accade nulla”) e si concentra via via sui vari personaggi, mostrandoci il punto di vista di ciascuno di loro. Abel è un diciottenne che preferisce divertirsi e fantasticare piuttosto che mandare a memoria date e nomi. Suo padre György è un architetto di scarso successo, che non riesce a comprare un frigorifero nuovo alla famiglia ed è in costante polemica col mondo intero, ostile all’idea che un giovane collega possa trasferirsi all’estero per cercare condizioni di vita migliori, pronto ad attaccare chi considera un traditore della patria. Il quarantenne Jakab ha idee forti (a volte anche troppo) che lo guidano nella vita pubblica e in quella privata, come gli rimprovera la moglie che si sente trascurata: non ascolta nessuno se non se stesso. Janka è una brava allieva (passa regolarmente i compiti ad Abel), una ragazza coraggiosa, persino sfrontata, che dichiara il suo amore al professore, nonostante i vent’anni d’età che li dividono e il fatto che lui abbia moglie e figli. La giovane giornalista, infine, non va tanto per il sottile nell’assecondare l’ideologia della sua testata, dichiaratamente nazionalista, e costruisce una tempesta in un bicchier d’acqua a partire da una voce ascoltata nel suo condominio. Pare che un ragazzo sia stato bocciato alla maturità perché indossava una spilla tricolore. Tuttavia Abel non voleva in alcun modo fare un gesto politico, l’aveva dimenticata lì dal 15 marzo, giorno della festa nazionale ungherese che ricorda la rivoluzione del 1848.
E dunque la storia dell’Ungheria è squadernata nel copione scritto dal 42enne regista Gabor Reisz insieme a Eva Schulze con una serie di riferimenti precisi e al tempo stesso sottili. Reisz, già noto ai frequentatori di festival per i suoi film precedenti come For Some Inexplicable Reason e Bad Poems, sta ben attento a lasciar parlare tutti, perché tutti hanno una ragione e una spiegazione ai loro comportamenti e più di tutti ne ha il giovanissimo Abel che rivendica la sua zucca vuota, la sua incapacità di studiare proprio la cosa che appare più preziosa nell’Europa e nel mondo contemporaneo, ovvero la Storia. Una Storia che per l’Ungheria ha rappresentato da sempre un susseguirsi di rivoluzioni e restaurazioni, di regimi e liberazioni. Non che il film non prenda posizione, ma volerne fare un film a tesi sarebbe banalizzarlo. Da segnalare tutto il cast (specialmente il giovane Gaspar Adonyi-Walsh ovvero Abel) e le intense scelte musicali a cura di Andras Kalman e dello stesso Reisz.
“La frattura che attraversa il Paese – spiega Reisz – è presente da anni, non solo in parlamento, ma anche nella vita di tutti i giorni, nei rapporti tra le persone, per strada. Per me, uno degli esempi più espressivi di questo conflitto è l’indossare la spilla con i colori nazionali. In occasione dell’anniversario della Guerra d’indipendenza del 1848, una delle feste nazionali più importanti in Ungheria, è consuetudine indossarla. Ma anche questo gesto ha assunto un significato politico. L’esibizione delle spille da parte dei nazionalisti durante le manifestazioni di partito ha cambiato sensibilmente il significato di questo simbolo negli ultimi venti anni. Se un tempo rappresentava l’indipendenza ungherese e il legame con il Paese, oggi chi la indossa è considerato un sostenitore della nazione e chi non la indossa ne è, invece, un oppositore”.
Una spiegazione per tutto, Premio Orizzonti al Miglior Film a Venezia 2023, sarà nei cinema italiani dal 1° maggio con Arthouse, l’etichetta di I Wonder Pictures dedicata al cinema d’autore, in collaborazione con Unipol Biografilm Collection.
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