“Fimmini ribelli” sono quelle della storia omonima di Lirio Abbate (vicedirettore de “L’Espresso”), opera letteraria da cui è liberamente ispirato Una femmina, film di Francesco Costabile, nella sezione Panorama dalla 72ma Berlinale. Le “Fimmini ribelli” sono l’essenza del soggetto dell’adattamento del libro, che Lina Siciliano, al suo debutto, sintetizza nella sua volitiva e magnetica Rosa.
In una ‘Ndrangheta matriarcale, le femmini della storia di Costabile – da una storia vera – si contano dal principio, dalla vecchia nonna Berta (Anna Maria De Luca) alla mamma della bambina Rosa, di cui resta orfana in tenera età, alla zia Rita (Simona Malato): il maschio, invece, gioca il proprio ruolo di padre padrone, di pesce più o meno piccolo assoldato da quello più grande, di fidanzato metafora di libertà, così sono lo zio Salvatore (Fabrizio Ferracane), il cugino “scemo” Natale (Luca Massaro), l’amato Gianni (Mario Russo) e il carnefice Ciccio (Vincenzo Di Rosa).
La prova della Siciliano è altissima, con un volto dall’espressione quasi inscalfibile da qualsiasi sentimento così come intriso di dolore nelle trame della pelle e nel riverbero dello sguardo, ma questo – purtroppo – da solo non è un pugno allo stomaco sufficientemente forte per stordire e dar eco tonante al più ampio concetto dell’incarnazione del potere femminile, in quella società.
Il film s’apre con una dedica specifica, “a tutte le femmine ribelli”, come Rosa, piccola creatura nata e cresciuta in una Calabria profondamente rurale e giocata sulle faide famigliari: Costabile, sin dalle prime sequenze, sceglie di rarefare certe messe a fuoco, simbolismo di nebbia e incertezza, una visione esteticamente e simbolicamente interessante nell’ottica del tema tutto. Rosa, adolescente, intuisce timidamente e pian piano lo spirito che potrebbe incarnare una “fimmina ribelle”: dapprima, occhi bassi, si sporca le mani di sangue lavorando la carne in cucina, mani che ancora usa per lavorare – di contro, quasi a contrasto – per massaggiare la candida ricotta; Rosa, poi, in un’improvvisa crisi di freddo viene soccorsa nel timore possa essere un sintomo che l’appai alla povera mamma, considerata pazza, quindi impura, quindi giusta alla morte imposta. Ed è da questo episodio che la sua consapevolezza prende coraggio e man mano ruggisce internamente, quando l’amato Gianni la porta finalmente a guardare dove è stata sepolta la sua mamma, in un anfratto di mattoni incementati, senza nemmeno una lapide con un nome, figuriamoci un fiore. “Tu sei l’unica che può cambiare tutto”, dice Gianni a Rosa, ma “quanta strada c’è ancora da fare per essere libera?”, risponde lei.
Una femmina, non è solo una femmina, è un gineceo, una struttura di potere femminile sì, a cui Rosa però non dà continuità secondo le prassi della nonna o della zia, che cerca di ribaltare, in una circolarità femminile che porta dentro di sé un futuro: “a mia figlia, un altro destino voglio dare”, afferma alla nonna, fissando così i due poli estremi femminili di quella famiglia, di quella società, il passato e il tempo a venire, di cui lei è sovversivo baricentro.
Il soggetto è firmato da Lirio Abbate e Edoardo De Angelis, sceneggiatura di Abbate, Costabile, Serena Brugnolo e Adriano Chiarelli.
Dal 17 febbraio al cinema, distribuito da Medusa.
Sarà Sebastian Markt il nuovo responsabile della sezione Generation della Berlinale, mentre Melika Gothe, nel nuovo ruolo di manager della sezione, si occuperà dell’educazione cinematografica e della partecipazione culturale
Il co-produttore italiano del film che ha vinto l'Orso d'oro 2022, con la sua Kino Produzioni ha partecipato alla realizzazione di Alcarràs diretto da Carla Simón: "Ho sposato la visione di Carla. È quello che faccio nel mio lavoro, sostengo personalità artistiche ben definite". In sala da maggio con I Wonder Pictures
Il Festival di Berlino ha reso noti i dati Covid della 72ma edizione durata una settimana. Dal 10 al 16 febbraio sono risultati 128 positivi da un campione di 10.938 tamponi. In pratica una percentuale dell'1,5%
Il regista toscano è stato insignito del premio Fipresci alla 72ma Berlinale per Leonora Addio: la soddisfazione e l’orgoglio di Cinecittà, che ha partecipato alla produzione ed è stata, tra l’altro, anche luogo di parte delle riprese del film in Concorso alla manifestazione tedesca.