Come l’Italia ha avuto i suoi anni di piombo e i suoi martiri di mafia, ogni nazione deve fare i conti con le proprie ferite. In Spagna, ad esempio, le cicatrici provocato dal terrorismo indipendentista basco dell’ETA sono ancora sanguinanti. Arriva nelle sale italiane il 13 luglio 2023, a oltre un anno dal trionfo ai premi Goya (con tre statuette su quattordici candidature, Una donna chiamata Maixabel, il film che prova a riconciliare il popolo spagnolo ancora traumatizzato dalle stragi avvenute a cadenze regolari dagli anni ’70 fino ai primi del nuovo millennio (sono oltre 800 le vittime causate dall’ETA). Il simbolo di questa riconciliazione è Maixabel Lasa, diventata vedova proprio nel 2000, quando suo marito, il politico socialista Juan María Jáuregui, è stato brutalmente ucciso in un ristorante con un colpo di pistola alla testa.
Il film diretto dalla regista spagnola Icíar Bollaín racconta la vera storia di Maixabel, dal giorno dell’attentato al marito fino al recente scioglimento dell’ETA, a cui ha contribuito attivamente con il suo lavoro di attivista e di direttrice dell’ufficio basco delle vittime del terrorismo. In particolare ci si concentra sui cosiddetti “incontri restauratori”: colloqui in cui i terroristi incarcerati e pentiti hanno chiesto di dialogare con le vittime dei loro crimini. Maixabel sarà una delle prime persone a confrontarsi con i criminali che hanno ucciso il suo amato marito e reso orfana di padre la figlia. In effetti, il punto di vista della donna, interpretata da Blanca Portillo, è perfettamente bilanciato da quello di Ibon (Luis Tosar), uno dei due attentatori. Il processo di redenzione offerto dalla prigione – finalmente raccontata come vero luogo di espiazione morale più che come uno di castigo – e il cambiamento di Ibon si muovono in parallelo alla forza della donna, capace di superare il trauma e il lutto, trovando il coraggio di perdonare.
Oltre che sulle coinvolgenti interpretazioni, Una donna chiamata Maixabel si basa sulla solida scrittura dei dialoghi, riuscendo nell’impresa di rendere intensi e memorabili i momenti di confronto tra i vari personaggi. Il finale poi – in cui appare in un cameo la vera Maixabel – ci permette di vivere un momento meravigliosamente straziante che risuona a imperitura memoria di tutte le vittime innocenti della follia terroristica, non solo quella spagnola.
Raffinato e senza fronzoli il lavoro compiuto sui caratteri, coi quali si riesce a empatizzare incondizionatamente: non solo con il personaggio di Maixabel, dunque, ma anche con quello dei suoi interlocutori. Si mette in scena un processo salvifico per tutti loro, tanto più emozionante perché avvenuto realmente. Alla fine del film, è sorprendente rendersi conto che, quando si scava nel dolore e nei sensi di colpa, ritornando alla fonte della nostra umanità, la distanza tra vittima e carnefice è molto più sottile di quanto si possa immaginare.
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