Un’opera-musical, progetto ambizioso dei torinesi Davide Livermore e Paolo Gep Cucco, The Opera! Arias for an Eclipse è stato presentato alla 19ma Festa del Cinema di Roma nella sezione Special Screening. A partire dal mito di Orfeo ed Euridice e dalle note di Gluck e Monteverdi, il film, prodotto da Showlab con Rai Cinema in collaborazione con Dolce&Gabbana (che ha realizzato anche i costumi) e Digilife Movie, sarà in sala a gennaio 2025 con Adler Entertainment. Si tratta di un interessante e divertente esperimento che mescola e ibrida l’opera di varie epoche con la cultura pop, il tutto dentro una costruzione visiva sontuosa. Siamo dentro a “un sogno lungo un giorno” o meglio un incubo lungo un’eclisse. Uno sparo strappa Euridice a Orfeo nel giorno delle nozze, ma l’uomo non demorde e la insegue nel mondo degli inferi – unico vivente – per strapparla alla morte. Per riuscirci dovrà cantare Nessun dorma dalla Turandot.
Scenografie immense e misteriose lo accompagnano nel viaggio: una Parigi semi-sommersa, il fiume Acheronte, un hotel di lusso dall’atrio circolare, l’Hotel Hades, palcoscenici di teatri abbandonati, autobus dove esplodono le note del Rigoletto. Le star della lirica Valentino Buzza e Mariam Battistelli incarnano i due eterni amanti che si rincorrono attraverso un gioco sottile in un condensato di arie celebri: da Puccini a Haendel, da Verdi a Gluck, da Bellini a Ravel e Vivaldi, non manca l’incursione nel pop con The Power of Love dei Frankie Goes to Hollywood. Il cast è stellare con Vincent Cassel nel ruolo del tassista Caronte, Fanny Ardant in quello di Proserpina, Rossy De Palma (Atropo) e Caterina Murino (la concierge) a popolare l’Ade, il basso Erwin Schrott nei panni di Plutone, Angela Finocchiaro (la madre di Orfeo).
Qual è la genesi di questo singolare progetto che può avvicinare all’opera lirica anche chi ne è completamente digiuno?
Paolo Gep Cucco. Nasce da uno spettacolo teatrale alla Royal Opera House di Muscat. A Davide avevano chiesto un pastiche di arie e scelse come punto di partenza Orfeo, un mito che parla alla contemporaneità, perché mescola amore e morte e indica la necessità di lasciar andare le anime nel loro viaggio. Lo spettacolo si rivolgeva a un pubblico internazionale amante dell’opera ma anche agli abitanti dell’Oman, poco avvezzi a questa cultura musicale che si è rivelata universale e comprensibile per tutti.
Considerate il film un musical?
Cucco. Non c’è un genere per questo film. La struttura è quella di un musical, i protagonisti, Mariam Battistelli e Valentino Buzza, sono due giovani talenti dell’opera in grado anche di recitare, quindi parlerei di opera-musical. Vincent Cassel ha detto a Valentino il primo giorno di riprese per rassicurarlo: “Fare l’attore è semplicissimo, devi essere te stesso e vivere le emozioni”.
Come lo definirebbe visivamente?
Cucco. Un caleidoscopio visivo delirante e pieno di bellezza. La storia inizia in una piazza metafisica alla De Chirico ed è subito chiaro che non siamo nella realtà.
David Livermore. Ho sempre cercato di sperimentare con i linguaggi. Come quando alla Scala ho usato il mezzo televisivo raggiungendo ascolti altissimi. Qui abbiamo cercato dei linguaggi visivi che ci aiutassero a capire l’uso della fantasmagoria per superare il dolore. Il mito di Orfeo è umano e struggente. Devo dire che io amo l’ibridazione. Ho iniziato come cantante d’opera accanto a Placido Domingo e Luciano Pavarotti, mentre Gep viene dal rock e dall’elettronica, sono dodici anni che collaboriamo. Per noi le arti sono una materia da tagliare in diagonale: trovi Henry Purcell nella musica dei Beatles. Viviamo un tempo liquido, un tempo transgender dove ogni aspetto della vita deve ibridarsi, dove ogni disciplina artistica è costretta a perdere il proprio genere originale verso nuovi futuri. Per riassumere, ecco il senso di The Power of Love fatto dall’orchestra barocca.
Come avete girato il film per raggiungere questo livello di astrattismo e visionarietà?
Cucco. Questo è il primo film italiano girato completamente in un Virtual Set presso i Prodea Led Studios di Torino, per riuscire a raccontare con le più moderne tecnologie l’aspetto onirico e visionario che lo caratterizza. Il set virtuale ci ha permesso di sviluppare un’estetica che mescola la metafisica di De Chirico con l’architettura razionalista, le ampiezze visive di Nervi con la scenografia teatrale, il design di Mollino con la bellezza straordinaria dei costumi di Dolce&Gabbana. Era l’unico modo per sviluppare l’estetica che avevamo in mente. E’ un modo per dipingere con la scena, poter spostare il sole, la luce. Il vantaggio per gli attori è stare in un mondo vero e non recitare davanti al green screen.
Un commento sul cosmopolitismo del cast.
Livermore. E’ l’opera che è così, cosmopolita e internazionale. Nel mondo hanno imparato a parlare italiano dai libretti d’opera, anche se il sistema scolastico in Italia non se ne ricorda e molti italiani non conoscono la lirica e magari ignorano la trama della Traviata. L’opera ha una riconoscibilità di valore assoluto perché è veramente l’opera d’arte globale.