Un terzo Francesco per Liliana Cavani


Il 27 marzo va finalmente in onda su Raiuno Troppo amore, il film tv di Liliana Cavani, scritto con Angelo Pasquini e Roberto Tiraboschi, interpretato da Antonia Liskova, che fa parte di una serie sulla violenza contro le donne (altri due sono firmati da Marco Pontecorvo, un quarto da Margarethe Von Trotta). E’ stata necessaria una mobilitazione, compresa un’interrogazione parlamentare bipartisan, per convincere la Rai a rischiare su questo prodotto. “Questi film – spiega con pacatezza la cineasta di Carpi – non sono graditi a Raiuno perché considerati troppo ‘forti’ per la prima serata. La violenza gratuita è spesso accettata e trasmessa, ma qui si parla di violenza contro le donne, in questo caso di stalking, e allora la messa in onda è slittata da novembre fino a marzo, per paura che lo spettatore si rompesse le scatole”. Cavani racconta anche che la serie doveva comprendere sei film, anziché quattro, ma è stato deciso di rinunciare a quelli che parlavano della tratta e dello sfruttamento della prostituzione: “Queste donne che vedete ai lati delle strade sono tutte schiave, è sembrato un argomento troppo disturbante”. Ancora su Troppo amore, “sono 20 o 30 l’anno le donne ammazzate dal coniuge o dal compagno, molte di più quelle picchiate a sangue, accade in tutte le classi sociali, il fenomeno cresce anche se ora c’è una legge che fa dello stalking un reato grave”.

 

L’autrice di Portiere di notte (1974) è stata al centro di un omaggio voluto dalla Casa del Cinema e dalla Cineteca Nazionale: Caterina D’Amico ed Enrico Magrelli hanno presentato il volume a lei dedicato dalla studiosa pavese Francesca Brignoli, “Liliana Cavani. Ogni possibile viaggio” (Editore Le Mani, pp. 320, € 20). “Regista dello scandalo, per di più donna. Provocatrice, cattolica del dissenso, intellettuale laica e trasgressiva, tra demonio e santità”, scrive Brignoli nella sua introduzione al libro, che si articola per parole chiave e analisi dei sedici film dell’autrice, tra cui due dedicati alla figura di Francesco d’Assisi, a cui forse se ne aggiungerà presto un terzo, dopo Lou Castel e Mickey Rourke. “Venivo da una famiglia più atea che laica, quando lessi il libro dello storico francese Paul Sabatiér, mi entusiasmai, mi sembrò un romanzo di formazione più che un’agiografia. Angelo Guglielmi, allora alla Rai, aveva 30 milioni da investire sul santo, Leo Pescarolo voleva fare il produttore, nacque così il primo Francesco del ’66, dove volli Lou Castel come protagonista, scelta che apparve quasi blasfema, tanto che ci fu anche un’interrogazione parlamentare di un missino: non concepiva che il santo patrono d’Italia potesse avere quella faccia”. Lou Castel era anche il ribelle dei Pugni in tasca di Marco Bellocchio, ma Cavani lo scelse prima di vedere quel film che segnò una generazione. Lo scelse per istinto come istintivamente prese Charlotte Rampling per Portiere di notte, vedendola camminare nella hall di un albergo romano senza neanche averci parlato.

 

Le piace il titolo del libro, Ogni possibile viaggio, “è vero che i miei film sono viaggi, nei riti, nei luoghi di pensiero, nelle morti e nelle rinascite, quante altre storie avrei potuto raccontare se avessi avuto la mia casa di produzione”. Anche documentari, come quello che vedremo con ogni probabilità alla prossima Mostra di Venezia. “Ero filologa di formazione, cominciai a interessarmi al cinema proprio con i documentari storici: sul Terzo Riech, l’età di Stalin, la donna della Resistenza, Petain. A quell’epoca sapevo tutto sulla guerra del Peloponneso, niente sulla seconda guerra mondiale, furono le immagini che mi aprirono gli occhi”.  

 

autore
22 Marzo 2012

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