Si dice Paolo Villaggio e si pensa a Ugo Fantozzi, la connessione è immediata, naturale, in fondo un omaggio ad un’icona della letteratura cinematografica (e non solo), ma il rischio è che – almeno per il grande pubblico – questo personaggio finisca per “ridurre” la statura di un attore molto più sfaccettato.
Paolo Villaggio – scomparso nel 2017 – nasceva a Genova il 30 dicembre del ’32, ricorrono dunque 90 anni dalla sua venuta al mondo insieme al gemello Piero, futuro docente universitario: una famiglia borghese la loro, e di “sangue misto”, papà palermitano, mamma veneziana, l’uno ingegnere, l’altra insegnante di lingua tedesca.
Nella biografia di Villaggio, un’infanzia scolastica che – nel tempo a venire – sarebbe diventata sinonimo di cronaca violenta ma anche di cinema: ha infatti frequentato le elementari alla scuola Diaz; oltre a questo, dell’infanzia di Villaggio sappiamo dal suo spettacolo Delirio di un povero vecchio. Un diploma di Liceo Classico per iscriversi a Giurisprudenza, anche se evidentemente non era il suo destino, non quello di un attore e autore di surrealismo e sarcasmo, di critica sociale e prestigiatore della commedia popolare dalla forte vis intelligente.
Un periodo, quello della gioventù, in cui si radica anche un’importante amicizia nonché, a tratti, anche produzione creativa comune, quella con Fabrizio De André.
La carriera artistica di Paolo Villaggio, però comincia col teatro, a metà degli Anni ‘50: primissima esperienza con la Compagnia goliardica Mario Baistrocchi, attiva dal 1913 e composta di solito da ex studenti dell’Università degli studi di Genova. Seppur non fosse una compagnia di professionisti, la Baistrocchi, nel tempo, è stata un laboratorio di artisti emergenti, oltre al suddetto De André, e appunto a Villaggio, allievi sono stati anche Enzo Tortora e Carmelo Bene.
Paolo Villaggio, in quanto artista pop, lo si deve a Maurizio Costanzo, che lo scoprì: nel 1967 gli consiglia di esibirsi al “Sette per Otto”, famoso cabaret romano. In un’intervista a “la Repubblica” Villaggio racconta: “Andai. La prima sera c’era ad assistere allo spettacolo una Roma incuriosita da questo strano comico arrivato da Genova. Ricordo Garinei e Giovannini, Ugo Tognazzi, Ennio Flaiano, che alla fine, a forza di ridere, cadde dalla poltrona”.
Dopo il cabaret è la stagione della radio, con la trasmissione Il sabato del Villaggio (1967), in cui racconta le storie di un buffo impiegato: ecco i prodromi del futuro ragionier Ugo Fantozzi. Sveltamente arriva anche la televisione: il 21 gennaio ‘68, Villaggio esordisce sul piccolo schermo conducendo Quelli della domenica (scritto da Marcello Marchesi,Enrico Vaime, Italo Terzoli e Maurizio Costanzo), dove ha modo di far conoscere anche il personaggio del Professor Kranz e quello di Giandomenico Fracchia. Questi caratteri permettono a Villaggio di mostrare un uso comico e elastico della fisicità, così come della mimica, una plasticità espressiva peculiare, caratteristica sua, sempreverde nella sua arte a venire. Eppure questi personaggi, l’uno sadico, l’altro sottomesso, mostrano non solo un eclettismo artistico ma una profonda capacità di analisi del soggetto umano, una sensibilità dell’artista a cogliere le sfumature che tratteggiano le personalità assolute della società, cominciando così a delineare un talento di Villaggio non solo nell’interpretazione ma anche nell’architettura sofisticata di figure apparentemente popolari e becere, ma tutt’altro che buffoni e saltimbanchi popolari, piuttosto lucide e feroci analisi, se non critiche, all’uomo e al suo vivere.
La tv “alla Villaggio” irrompe e prosegue, così come il personaggio di Fantozzi: sulla rivista “L’Europeo” sono pubblicati i racconti dai monologhi delle trasmissioni e così il personaggio incarna un MacGuffin che abbraccia – nel rispetto e nell’originalità della sua pungente satira – le vicende delle diseguaglianze della società contemporanea. Secondo le parole di Paolo Mereghetti: “Fantozzi, come la maggioranza dell’umanità, non ha talento. E lo sa. Non si batte né per vincere né per perdere ma per sopravvivere. E questo gli permette di essere indistruttibile. La gente lo vede, ci si riconosce, ne ride, si sente meglio e continua a comportarsi come Fantozzi”.
L’esordio sul grande schermo è del ’69 (con Eat It), ma il titolo primo che fissa un approdo di Villaggio al cinema è Brancaleone alle crociate di Mario Monicelli (1970), film che scrive anche un rapporto significativo per la carriera di Villaggio, quello con Vittorio Gassmann. Se il regista toscano e Il Mattatore hanno scritto una pezzetto della carriera cinematografica di Paolo Villaggio, più autori del nostro cinema hanno colto l’essenza dell’artista e ne hanno spesso fatto corpo attoriale e anima narrativa dei loro film, così Nanni Loy (Sistemo l’America e torno), Marco Ferreri (Non toccare la donna bianca), Pupi Avati (La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone), Ermanno Olmi (ll segreto del bosco vecchio), Francesca Archibugi (Questione di cuore), e naturalmente il sodale Luciano Salce, soprattutto per la saga di Fantozzi, cominciata nel ’75: sono tutti registi con personalità e visioni non univoche, anche a conferma della versatilità dell’attore genovese.
Il cinema, per Villaggio, è stato anche sinonimo di Federico Fellini per La voce della luna (1990), di Neri Parenti numerose volte, e anche di Lina Wertmüller, che con Io speriamo che me la cavo – di cui ricorre il trentennale (leggi articolo) – ha permesso all’attore, con il ruolo del maestro, un’ennesima opportunità di ribadire come fosse proprio di corde emotive e attoriali “altre” dall’iconico Fantozzi.
Non di mestiere doppiatore, da riconoscere però a Paolo Villaggio una personalità del timbro e un’abilità modulatoria della voce, per cui ha prestato la sua per Senti chi parla e Senti chi parla 2, e per Hotel Transylvania 2.
La biografia artistica di Paolo Villaggio ha una storia e un valore enciclopedico, non facilmente esauribile né riducibile a qualche titolo o autore, seppur prestigiosi: ha interpretato circa 80 film, oltre a una decina per la televisione; ha sceneggiato 16 storie per il grande schermo, tutte quelle del suo Fantozzi; ha diretto – sua unica regia – Fantozzi contro tutti (1980) con Parenti; una dozzina sono le pièce teatrali in cui ha recitato; quasi una ventina i programmi tv di cui è stato protagonista; dieci gli spot pubblicitari, tra cui non mancano dei Carosello; trenta le opere letterarie a lui attribuite; quattro album discografici, tre singoli e due canzoni per la musica.
Tra i premi cinematografici: David di Donatello per il Miglior Attore Protagonista per La voce della Luna, di Federico Fellini (1990); Leone d’oro alla carriera al Festival del cinema di Venezia (1992); Nastro d’argento al Miglior Attore Protagonista per Il segreto del bosco vecchio di Ermanno Olmi (1994) e Pardo d’onore alla Carriera al Festival internazionale del film di Locarno (2000). Per la Letteratura, ha vinto anche il Flaiano per la Satira nel 2008 e il Premio Piero Chiara alla Carriera nel 2012.
Dal 2 giugno 1995 Paolo Villaggio è Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
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