Uberto Pasolini e la parabola della solitudine

Il film Still Life presentato a Orizzonti è una parabola della solitudine valorizzata dalla performance di Eddie Marsan, nota comparsa qui per la prima volta nel ruolo di protagonista


VENEZIA – John May è un funzionario comunale londinese a cui viene affidato il compito di trovare il parente più prossimo di coloro che sono morti in solitudine. E’ un compito che gli si addice, dato che non c’è persona più sola di lui. Ma un caso in particolare lo porta a compiere un viaggio liberatorio  che gli permetterà di iniziare ad aprirsi ai rapporti con gli altri. Presentato nella sezione Orizzonti a Venezia 70, Still Life è prodotto, diretto e sceneggiato da Uberto Pasolini – nessuna parentela con Pier Paolo – noto per aver economicamente realizzato il fenomeno Full Monty e poi, come regista, per il colorato e anarchico Machan La vera storia di una falsa squadra.

Stavolta il regista italiano trapiantato in UK lavora di sottrazione, reggendosi molto sull’ottima performance attoriale di Eddie Marsan, eterna comparsa qui finalmente assurta, meritatamente, al ruolo di protagonista. Nel canovaccio del film c’è qualcosa che ricorda Umberto D. “Ma non mi ci sono ispirato – risponde Pasolini – anche se l’ho visto diverse volte prima di girare, mi ispiro di più a Yasujiro Ozu. Ho trattato il tutto in maniera molto contenuta. Leggendo un articolo ho scoperto che ci sono nel mondo delle autorità che sono incaricate di svolgere questo lavoro e questo mi ha molto interessato. Di solito tratto storie che non mi sono vicine ma stavolta, da separato single, ho trattato un tema che conosco: la solitudine. Se vivi da solo in un appartamento buio e silenzioso, parlando magari solo con il cassiere del supermercato per intere giornate, cominci ad alienarti e a compiere gesti ripetitivi: mangi sempre le stesse cose, ti siedi sempre nello stesso posto. Io combatto la solitudine, mentre per molti diventa isolamento. Non la sentono, come il mio protagonista: lui non si sente triste, perché si dedica completamente al suo lavoro.

E’ devoto ai suoi clienti”. “Quando interpreti un ruolo così – racconta Marsan – devi avere un approccio etico che ti faccia comprendere che l’attenzione non è incentrata su di te. Mi sono impegnato per calarmi nei panni di qualcuno che non sa di essere guardato e a cui non importa il giudizio degli altri. A volte il mio ego rovina la mia arte ma avere a fianco un regista esperto ti aiuta. La prima cosa che ho pensato di John è che fosse un fantasma, che volesse sopravvivere ed essere riconosciuto”. “Conoscevo già Marsan – racconta Pasolini – perché ci avevo lavorato insieme a teatro. Lui era una comparsa e aveva quattro battute, faceva il valletto di Napoleone, ma l’ho subito individuato come il protagonista ideale. Certo, io non ero così conosciuto e lui lo era ma solo come co-protagonista, per fortuna ho incontrato produttori abbastanza pazzi da finanziarmi. Il film è nato nella mia testa con l’immagine di una tomba solitaria e sapevo perfettamente come farlo finire. Non è stata un’opera di produzione, era un film che sentivo dentro. Mi hanno aiutato tantissimo Rai Cinema, Cinecittà e le leggi inglesi sul tax- credit”. Marsan è apparso tra l’altro nei recenti Sherlock Holmes di Guy Ritchie nel ruolo dell’Ispettore Lestrade: “Non so se apparirò anche nel terso – dice l’attore – dipende un po’ da dove lo ambienteranno. Sono un po’ un prezzemolino, appaio dappertutto. Sono una vera e propria comparsa. Ma nemmeno mi ricordo dove devo essere a volte, sono troppo impegnato a guadagnarmi da vivere”. 

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03 Settembre 2013

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