Tsai Ming-Liang: l’incontro degli uomini soli

Torna in concorso a Berlino Tsai Ming-Liang, con il suo ultimo lavoro Rizi (Days), con protagonista il suo attore feticcio Lee Kang-Sheng, che collabora da quasi trent’anni con lui


BERLINO – La telecamera si avvicina, lenta, per osservare in una lunga ripresa un uomo seduto nella sua casa mentre guarda attraverso una vetrata le cime degli alberi sferzate dal vento. È Kang, vive da solo, alle prese con un dolore che opprime il suo corpo. A interpretarlo l’attore feticcio Lee Kang-Sheng, che collabora da quasi trent’anni col regista taiwanese Tsai Ming-Liang, che porta a Berlino, in Concorso, il suo ultimo lavoro Rizi (Days), con un secondo protagonista, Non (interpretato dal giovane Anong Houngheuangsy, qui al suo debutto), un lavoratore straniero in Tailandia che vive in un piccolo e squallido appartamento a Bangkok, dove prepara metodicamente piatti tradizionali tipici del suo villaggio natale. Quando i due uomini si incontrano in una stanza d’albergo, si scambiano le loro solitudini, e trovano, per una notte, consolazione l’uno nell’altro, prima di tornare alle loro vite quotidiane.  

“Non avrei mai sognato di esser qui – rivela Anong Houngheuangsy- Il regista mi ha scoperto, e nel film appaio come attore ma mi sento anche in una sorta di reality, poiché metto in scena quello che avviene nella mia vita reale. È un film su di me e sulla mia vita, su quello che sono”. Un rapporto stretto tra realtà e finzione tipico del cinema di Tsai Ming-Liang, sottolineato anche da Lee Kang-Sheng che racconta di come il regista abbia nel tempo documentato i suoi problemi fisici, usando “un linguaggio spontaneo, sempre più artistico e libero”. 

Il nuovo lavoro del regista – che ha debuttato con Rebels of the Neon God (1992) proprio alla Berlinale, dove ha vinto, poi, nel 1997 l’Orso d’Argento per The River – riflette il suo consueto stile radicale, fatto di dialoghi minimale e di inquadrature intense che indugiano sui personaggi, quasi a scolpirne volti e a fotografarne i movimenti. Per tracciare una storia di dolore e conforto, in cui la lente, fissata sui personaggi, è fissata sulla vita stessa. Anche questa volta il volto di Lee appare a suggellare il cinema di Tsai Ming-Liang, che negli ultimi anni ha ricevuto attenzione anche dal mondo dell’arte per le sue idee estetiche sul ‘cinema scolpito a mano’: “Voglio ringraziare il mio attore per tutto il suo pieno supporto in questi ultimi trent’anni, sottolinea il regista che dice di sentirsi da sempre molto vicino a Lee. “E’ stato malato per molto tempo, non è il primo problema fisico che ha. Mi è sempre dispiaciuto vedere il suo aspetto fragile e tante volte l’ho filmato perché ho sentito l’imperativo di raccontarlo. Poi, tre anni fa, ho incontrato questo giovane lavoratore di Laos che vive in Tailandia, a Bangkok, e tramite una video chat l’ho visto cucinare i cibi della sua città natale nella sua stanza piuttosto squallida. Queste sono state le ragioni essenziali di film, che viene fuori dalla vita quotidiana e che parla dell’indulgenza della gioventù, della malattia e della solitudine”.

Rispetto, poi, ai possibili giudizi critici in patria sulla scena in cui appaiono due corpi nudi maschili: “Non mi sono preoccupato molto di questo aspetto nel momento di fare il film, è semplicemente parte della verità artistica. Volevo che il pubblico avvertisse il tocco del corpo durante il massaggio e che arrivasse a sentire il tocco dell’anima che quel contatto trasmette”.

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27 Febbraio 2020

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