True Crime italiano: le ragioni del boom

I palinsesti di questo autunno sono affollati di casi di cronaca nera, da Elisa Claps, miniserie in quattro episodi a Meredith Kercher al delitto di Avetrana. Le ragioni di un successo


Non solo Dahmer, OJ o Making a murder. Cresce sempre di più l’interesse dei telespettatori italiani anche per le grandi vicende giudiziarie del nostro paese. Lo dimostra la proliferazione di serie tv o docu-serie di genere true crime che ricostruiscono casi balzati alle cronache in Italia. Così tante che si può parlare di vera e propria esplosione.

I palinsesti di questo autunno si presentano affollati. Il 24 ottobre, su Rai 1 e RaipPlay, è uscita Per Elisa – il caso Claps, miniserie in quattro episodi. Girata da Marco Pontecorvo, racconta la tragica vicenda della sedicenne potentina, uscita di casa per andare a messa, una domenica di settembre del 1993, per non tornare mai più. Il 1° novembre, questa volta su Sky e NOW, è stato il turno di Chi ha ucciso Meredith Kercher?, docu-serie in tre puntate sull’omicidio consumato in via della Pergola a Perugia, il 1° novembre del 2007. Entro la fine dell’anno, gli abbonati di Disney+, potranno seguire Avetrana – Qui non è Hollywood!, serie sulla sparizione dell’adolescente salentina Sarah Scazzi. E non è finita perché qualche giorno fa Stefano Sollima ha cominciato le riprese di The monster, miniserie di Netflix in 4 episodi, che continua a indagare sugli enigmatici, duplici omicidi che sconvolsero le campagne intorno a Firenze tra il 1974 e il 1985. Ma il segmento tematico appare così florido che dal 1° novembre Sky ha lanciato un canale, Sky Crime, interamente dedicato al genere “true crime”.

Il successo attuale, tuttavia, non è che la fase culminante di una tendenza che è andata consolidandosi negli anni. La lista dei titoli accumulati è tale da coprire tutte le grandi vicende giudiziarie, recenti o meno: Emanuela Orlandi, il delitto di via Poma, il massacro del Circeo, la strage di Erba, Pietro Maso, Patrizia Reggiani, il delitto di Garlasco, le vicissitudini e la morte di Stefano Cucchi, il caso di Yara Gambirasio. In termini di ascolti, i risultati sono spesso incoraggianti e alcune opere, come Sulla mia pelle hanno riscosso un buon successo anche nelle sale cinematografiche.

Ma come spiegare la fortuna del true crime italiano? Un punto di forza è l’aderenza alla realtà. La formula tipica prevede opere di finzione che raccontano fatti realmente avvenuti; oppure serie di genere documentaristico che mescolano testimonianze, ricostruzioni, immagini di repertorio. In una cultura, come la nostra, dominata dalla virtualità, il reale, l’idea che “è successo davvero” assicura brividi che la fiction pura è ormai incapace di offrire. E il fatto che si tratti di vicende italiane, più vicine a noi, garantisce un surplus di realismo. Le giovani generazioni hanno anche l’occasione di approfondire vicende poco conosciute. Anche se descritte in modo minuzioso e obiettivo, le vicende lasciano spazio per interpretazioni diverse rispetto alla verità ufficiale o a sollevare interrogativi. Dunque, a coinvolgere e appassionare lo spettatore. Insomma, tutto lascia pensare che l’attuale fioritura non sia che un inizio.

 

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