I tre borsisti segnalati dal premio Solinas condividono qualcosa, dal punto di vista umano e artistico. Le tre storie parlano di relazioni familiari e lo stile di scrittura è piuttosto letterario. Proprio come piace al Solinas.
Liberi, spiega l’autore Angelo Carbone, parla della paura di vivere. E’ la storia di un padre che nel perdere il lavoro, perde anche la sicurezza e vede allontanarsi tutte le persone a lui care. La seconda, Ci vediamo lassù, di Michele Pellegrini, racconta la malattia di un ragazzo e la difficoltà nel restare indietro. Tutte e due sono riflessioni appassionate sulla vita e sulla morte. La terza, Liscio di Marco Campogiani, racconta il rapporto tra una donna e il figlio adolescente.
Ma c’è di più: la storia di un’amicizia fra due dei tre borsisti, Angelo e Michele. Entrambi studiano alla S.N.C., anche se, assicurano, “la passione e la dedizione alla scrittura per il cinema viene da prima”. I due, uno timido e riflessivo, l’altro in apparenza più leggero e sbruffone, collaborano insieme a un altro finalista del Solinas, Roan Johnson. Anche lui è figlio della Scuola nazionale di cinema. Dopo un minuto di dialogo, però, Michele svela il nome del suo vero maestro: Giovanni Robbiano, sceneggiatore e regista genovese di 500! e Hermano, che ha tenuto corsi di sceneggiatura a Bologna. Michele, ormai 27enne, dopo aver preso a fatica la maturità, con un 37 e 2 anni di bocciatura, è stato libero di scegliere le sue passioni: il DAMS di Bologna e quel piccolo corso con accesso selezionato. Robbiano gli ha accordato la sua fiducia. “Una volta disse che se mi impegnavo potevo diventare un professionista”, ricorda Michele.
Angelo, da parte sua, prima di arrivare al Centro sperimentale, ha pubblicato per la Castelvecchi “11 under 30”. Entrambi però citano un loro secondo maestro, Francesco Bruni, professore di sceneggiatura alla Scuola nazionale di cinema, al quale hanno regalato a fine corso l’opera omnia di Tondelli. Quando si cercano le loro preferenze letterarie, tutti e due rivelano il loro carattere onnivoro: i romanzi della Ballestra, Flaiano, il Tondelli di “Rimini” e i fumetti di Pazienza per Michele, Montale per Angelo. Lo scrittore, insieme al disastro delle Twin Towers, diventa ispirazione per la sua idea di sceneggiatura. “Guardando il crollo e tutti quei morti, segue la considerazione che quello che non si vede è più pesante di quello che si vede. Niente per l’essere umano è impensabile. Dunque mi preoccupo come sceneggiatore di proteggere l’immaginario collettivo e restituire alla gente un senso. Il bandolo della matassa di cui parlava Montale”.
Altro discorso per il terzo borsista, Marco Campogiani, arrivato in finale al Premio anche con un altro soggetto, Il male radicale. 32 anni, dottore di ricerca in filosofia del linguaggio, è approdato alla scrittura solo 2 anni fa. Prima era un “lettore appassionato” che ha deciso di frequentare il corso di formazione professionale alla sceneggiatura di Giuseppe Piccioni e Umberto Contarello. E conferma di aver lavorato molto sulla letterarietà del storia. I suoi, assicura, sono personaggi che rivelano molto la loro interiorità. E allora, avverte: “dovrò stare attento a conferire spessore senza ricorrere ad artifizi narrativi mediocri. La voce off solo in certi casi funziona: Ovosodo, per esempio. A Virzì affiderei un mio soggetto volentieri”.
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