Ci sono film che non puoi incasellare in un contenitore e metterci sopra la tua bella etichetta di genere. Ci sono film che deragliano dai binari su quali viaggiano i convogli delle storie ordinarie che partono da A per arrivare a B secondo una traiettoria ben definita. Ci sono film che ti entrano negli occhi, nel cuore, nel cervello attraverso porte che non sapevi nemmeno di avere e quando sono in te ci restano con la grazia di un ospite tanto inatteso quanto prodigo di meraviglie.
Toto le héros – Un eroe di fine millennio del belga Jaco Van Dormael è una di queste opere. E ora abbiamo una grande opportunità: rivederlo al cinema dal 22 maggio grazie a I Wonder Classics (la divisione di I Wonder Pictures dedicata alla riscoperta dei classici d’autore) nello splendore restaurato del 4K, riportando alla luce quel caleidoscopio di colori brillanti e fumettistici che Van Dormael scelse per il suo esordio alla regia nel 1991.
Eccentrica visione di ciò che sarebbe potuto essere, il film segue un anziano (Toto) lungo il viale dei ricordi, un sentiero stretto e solitario lastricato di opportunità perdute da tempo e di sogni eroici non realizzati. Ma ripensandoci, il protagonista trova conforto, chissà quanto realisticamente, nell’idea di essere stato scambiato alla nascita. Con un misto di sollievo e di risentimento pensa che quella vissuta non è affatto la sua triste vita, ma quella del ragazzo della porta accanto. C’è un’altra possibilità, considera, per riprendersi ciò che gli spetta di diritto e per prendere finalmente in mano il suo destino rubato.
L’attore francese Michel Bouquet interpreta con ironica determinazione il ruolo di Thomas, uno scribacchino in pensione che non ha mai realizzato la sua ambizione di ragazzo di diventare un audace agente segreto e che non ha mai sposato la donna dei suoi sogni. Attraverso un collage fluido e non narrativo di ricordi, lo scrittore e regista Jaco Van Dormael, ex clown del circo, rivela le storie di vita di Thomas e del suo ricco vicino: Alfred. Gli eventi intrecciati delle loro vite sembrano affiorare alla superficie del suo flusso di coscienza, come i rottami di un sottomarino che affonda. Frammenti insignificanti – tirare la coda al gatto e spegnere le candeline di compleanno – si scontrano con i momenti culminanti della vita – la morte dei genitori, la precoce adolescenza della sorella Alice – e con la casualità dei sogni. Toto le héros è molto simile al lavoro di un ex artista di circo. È uno sguardo surreale puntato sulla vita come confluenza di atti non correlati. Ad esempio, durante il periodo d’oro dell’infanzia di Thomas, si assiste a una sequenza musicale meravigliosamente orchestrata, con tanto di fiori danzanti al ritmo del classico francese “Boum!” che diventa una specie di cartolina vivente dal mondo dei sogni, più che da quello dei ricordi.
Toto le héros ci dà anche un’altra chance: recuperare le altre tessere di quel mosaico sperimentale, emozionante, fuori asse che è la filmografia di Van Dormael. Pochi film tutti essenziali. Una manciata di storie scritte e riscritte per anni, cesellate fino a farle diventare pezzi unici. Irripetibili.
L’ottavo giorno uscito cinque anni dopo il trionfo di premi, critica e pubblico di Toto le héros, insegna una lezione che tutti noi pietosamente condividiamo, ma che quasi nessuno riesce a mettere in pratica: abbracciare la semplicità e la libertà, darci spazio per respirare e scrollarci di dosso le catene del mondo, l’insostenibile pesantezza del quotidiano. Nel film, il male è rappresentato da una gigantesca società senza volto, fotografata in fredde tonalità di grigio e blu. La bontà è incarnata da un personaggio affetto dalla sindrome di Down, che affronta la vita in modo diretto, con grande gioia. Nel corso della storia insegnerà la lezione della libertà a Harry (Daniel Auteuil), un dirigente sotto pressione continua.
Bisogna aspettare addirittura 13 anni per un’altra sua opera. Jaco Van Dormael dà alla luce la sua prima opera ad alto budget e con cast americano nel 2009 e in cui spicca un Jared Leto in stato di grazia. Ritorna un tema caro al regista belga: essere o non essere? La questione dell’assenza e della presenza in un percorso che attraverso il genere sci-fiarriva al senso ultimo dell’esistenza umana.
Mr. Nobody è il racconto del futuro, dove l’uomo ha superato l’angelo della morte e costruito un mondo dove non c’è traccia del nulla. Questo mondo immortale, che non ha storie da raccontare, è completamente incentrato su Nemo Nobody (Leto appunto), l’ultimo mortale e naturalmente l’ultimo narratore.
La storia, insieme a Nemo, salta nella cronologia e nei luoghi, con la coscienza del protagonista che sembra abitare ogni versione di se stesso contemporaneamente. Vi sembra confuso? No, non lo è. È esilarante e necessario, come un giro di giostra che bisogna fare almeno una volta nella vita.
L’ultimo film per ora è datato 2015 ed è un altro gioiello. Parte da una premessa tanto irriverente quanto esplosiva: “E se Dio fosse vivo e vivesse con la sua famiglia disfunzionale a Bruxelles?”
La storia raccontata da Van Dormael risponde a questa domanda e ne solleva molte altre con la sua satira intelligente e spassosa sulla religione, la morale e la natura umana.
Personaggi profondi e sfaccettati, con speranze e desideri coinvolgenti, sono la chiave di volta, mentre Ea esplora Bruxelles, reclutando il suo gruppo di apostoli disadattati.
Dio esiste e vive a Bruxelles mescola abilmente stili e sottogeneri di commedia con tocco inconfondibile, in cui lo slapstick, il meta e l’esoterico diventano strani, ma piacevoli compagni di viaggio narrativo. Il surrealismo anticonformista e la struttura episodica fanno sì che non ci sia mai un momento di noia. Strano, meraviglioso e con tanto cuore, questo film dimostra che un’idea semplice – ed insolente – può fare molta strada.
Metti piede a Berlino e ti scopri a pensare che qui la storia ha lasciato profonde cicatrici sul volto della città. Ferite rimarginate eppure che non smettono mai di evocare....
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