Non si può parlare di Milena Vukotic – nata il 23 aprile 1935 – senza parlare del suo rapporto con il tempo e con l’invecchiamento scenico, gestito con un’eleganza mai compiaciuta. Lungi dal circoscriversi a ruoli puramente decorativi o nostalgici, ha saputo abitare con intelligenza anche personaggi anziani, spesso dotandoli di un’inattesa vitalità, come accade nel popolare ruolo televisivo della nonna Enrica di Un medico in famiglia o in quello più recente della zia Olga di Diamanti: la sua presenza funziona come anomalia poetica, capace di spezzare il ritmo convenzionale del racconto. Mai “giovane promessa” né “grande vecchia”, Vukotic ha costruito un percorso parallelo, di continuità e trasformazione, sempre laterale ma sempre presente.
Il suo volto – che non si dimentica – è uno di quei rari casi in cui la maschera non copre, ma rivela. Non ha mai cercato la seduzione facile dello spettatore, ma piuttosto ne ha chiesto la complicità, la curiosità. Ha attraversato la commedia, il dramma, il surreale e il grottesco con la stessa serietà, che è poi la qualità degli interpreti più profondi: quelli che non recitano “per piacere”, ma per interrogare il mondo. In questo senso, la sua è una delle presenze più importanti e meno celebrative del nostro cinema. Un esempio luminoso, e raro, di come si possa essere davvero “caratteristi” dell’anima.
In un panorama attoriale spesso dominato da eccessi o da sovraesposizioni, Milena Vukotic si è sempre distinta per una presenza scenica inconfondibile, rarefatta ma densissima. Attrice dalla formazione colta e trasversale – nata come danzatrice classica, educata in ambienti multiculturali e teatrali – ha costruito una carriera che sfugge a ogni classificazione rigida, rivelandosi ogni volta elemento decisivo anche nei ruoli più defilati.
La sua cifra stilistica è quella di un’intelligenza attoriale che lavora per sottrazione, una leggerezza mai evanescente ma continuamente ironica, ambigua, capace di scivolare tra registri comici e tragici con un controllo che raramente concede all’emotività di travolgere la forma. Ne è esempio la sua signora Pina dei diversi Fantozzi, personaggio divenuto iconico non tanto per le gag, quanto per la stupefacente capacità dell’attrice di incarnare una borghesia smunta, remissiva ma misteriosamente resistente, sottilmente assurda. Vukotic non fa mai della caricatura un rifugio: anche in contesti grotteschi, il suo gesto è misurato, esatto, “vero”.
Non sorprende che registi diversissimi tra loro l’abbiano voluta. Federico Fellini, in Giulietta degli spiriti (1965) e Roma (1972), la utilizza come figura liminale, quasi eterea, amplificando la sua presenza surreale. Luis Buñuel, ne Il fantasma della libertà (1974), ne intuisce l’attitudine a destabilizzare le coordinate del reale senza bisogno di alzare la voce: con pochi tratti, la Vukotic diventa strumento di una comicità filosofica, dove l’assurdo non è mai semplicemente ridicolo. E poi Ettore Scola (La terrazza), Mauro Bolognini, Mario Monicelli, Giuseppe Bertolucci: tutti registi che le hanno chiesto di modulare i suoi personaggi su frequenze non convenzionali, capaci di sfuggire allo stereotipo.
Fondamentale anche il suo lavoro teatrale, specie in ambito pirandelliano e cechoviano, dove la sua voce – sottile, quasi fragile – diventa veicolo di dissonanze profonde, rivelando fratture interiori in personaggi apparentemente marginali. Sul palco o sullo schermo, dimostra sempre la sua ineguagliabile capacità di restituire umanità a figure laterali, con una delicatezza che diventa resistenza.
Attrice di secondi piani che valgono quanto i primi, Milena Vukotic è forse una delle ultime interpreti italiane a incarnare un’idea quasi mitteleuropea di recitazione: mai urlata, mai ridondante, sempre carica di senso. In un’epoca che tende alla semplificazione, il suo lavoro è un continuo esercizio di complessità. Silenziosa, elegante, inafferrabile.
Il riconoscimento più recente è stato il David di Donatello Speciale alla Carriera, ricevuto nell’edizione 2024, ma diversi sono stati i premi ricevuti nel tempo, tra cui il Nastro d’argento 1994 alla Migliore Attrice Non Protagonista per Fantozzi in Paradiso, il Premio Ubu 1998/1999 come Miglior Attrice Non Protagonista per Prima della pensione e il Premio Eleonora Duse 2022 per le interpretazioni di quell’anno teatrale in Le donne di Picasso e Notte di grazia scendi di Samuel Beckett.
Nata il 6 maggio 1975, ha esordito nel lungometraggio di finzione con Cosmonauta (2009), e di recente ha diretto la serie Fuochi d’artificio, nel frattempo mettendo al centro del suo racconto cinematografico lo sguardo femminile, con Nico, 1988, Miss Marx e Chiara
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