Aprire il concorso, non è detto che sia un handicap: L’albero degli zoccoli, nel ’78, inaugurò Cannes e vinse la Palma d’oro.
Lo ricorda il critico Jean Gili, grande conoscitore del nostro cinema, alla conferenza stampa di Le conseguenze dell’amore.
Titolo alla Marivaux e silenzi alla Eduardo per la storia di Titta Di Girolamo, commercialista della mafia, inchiodato da otto anni in un albergo del Canton Ticino in attesa di valigie zeppe di dollari da versare su un conto corrente.
Un uomo che ha fatto della solitudine assoluta, esibita come una divisa professionale, la sua gabbia dorata.
“Chiuso, silenzioso, inerte: ciondola dal letto al bagno con un’eleganza che stona con la situazione.
Ha una cura di sé maniacale e come i personaggi di Marivaux, che ho portato in scena con Le false confidenze, oscilla tra caso e azzardo.
Non sembra accadere niente ma le ‘conseguenze dell’amore’ – l’incontro con la giovane barista dell’hotel – saranno imponderabili”.
Così Toni Servillo, straordinario protagonista che al cinema ha transitato per ruoli rari e preziosi conquistando anche nomination ai Nastri e ai David. Dopo Martone e Capuano, è per la seconda volta al lavoro con il 34enne Paolo Sorrentino, dopo L’uomo in più, “che avrebbe meritato maggior pubblico”.
Anche quello, riflette l’attore di Afragola, era un film sulla sconfitta. E’ un perdente, ma a suo modo un eroe, l’uomo della valigia.
“So cosa si prova a vivere in un albergo, dopo tante tournée teatrali. E del resto durante le riprese del film abitavo in una stanza identica a quella del personaggio, al piano di sopra, in una sorta di metodo Stanislavski involontario”.
Ai critici Le conseguenze dell’amore è piaciuto, con qualche riserva sul finale che è sembrato troppo svelato.
Ai distributori francesi è piaciuto senza riserve, tanto che Océan (che fece uscire in Francia La meglio gioventù) l’ha già acquistato.
“Per i film italiani all’estero le cose sono state a lungo difficili. Si fa fatica ad essere accettati se paragonati a La dolce vita, ma per fortuna si sta affermando un cinema italiano moderno, diverso”, dice Domenico Procacci.
Produttore insieme a Indigo e in collaborazione con Medusa (budget 2 milioni).
“Abbiamo deciso di spostare l’uscita italiana a settembre – spiega ancora Procacci – dopo l’esperienza di Respiro, che nonostante il successo di Cannes fu penalizzato dall’arrivare in sala a maggio”.
Incuriosisce la mafia grottesca rappresentata da Sorrentino, che canticchia Ornella Vanoni e si riunisce all’ombra di un congresso sulla prostata. Piacerà a Quentin Tarantino?
“Chissà. I suoi gusti sono talmente ampi”, dice il regista. Ma racconta di essersi documentato anche su intercettazioni telefoniche. “La più strana: due picciotti che litigavano sul Grande cocomero di Francesca Archibugi”.
Ma quella del commercialista di Cosa Nostra ricorda anche, per certi versi, la vicenda di Sindona. “C’è molto di vero, anche in quello che sembra inventato – dice ancora Servillo – il principe siciliano costretto a vivere in albergo per scontare uno sgarbo ai boss, gli hotel palermitani dove si riuniscono i padrini o le terme dove la camorra discute i suoi crimini. La mafia, diceva Falcone, è come un orologio svizzero. E la Svizzera una terra sospesa nell’indeterminatezza, un non luogo.
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