Roma, i suoi tetti gialli e assolati, il traffico congestionato sul LungoTevere, l’ingresso in ufficio in ritardo. Tutto regolare per un romano che va al lavoro in macchina in un giorno di pioggia, se non fosse che improvvisamente quella che sembra una mattina come tutte le altre si trasforma in una giornata da incubo. Prima il disagio di rimanere chiusi in ascensore, mentre un cliente importante aspetta di avere un incontro, e poi un’escalation drammatica in cui centinaia di zombie sanguinanti e inferociti girano per il palazzo infettando e uccidendo chiunque incontrino.
È la giornata surreale raccontata da Daniele Misischia con il suo lungometraggio d’esordio The End? – L’Inferno fuori, prodotto da Mompracem, la neonata casa di produzione dei Manetti Bros. con cui il regista collabora da alcuni anni.
Uno zombie movie in salsa italiana, con i tetti di Roma e i suoi monumenti a fare da sfondo all’improvvisa apocalisse che vede il cinico e narcisista uomo d’affari Claudio Verona (Alessandro Roja) al centro di un thriller vissuto tra le quattro mura di un ascensore bloccato, mentre i suoi cari e i suoi colleghi gli muoiono intorno.
“Daniele è come eravamo noi quando abbiamo iniziato a fare film – ha detto Marco Manetti, nel presentare il film alla Festa di Roma – e siamo felici di avergli dato gli strumenti produttivi che all’inizio noi non avevamo”.
Daniele Misischia e il duo dei fratelli Manetti si sono incontrati nel 2013 al Fi-pi-li horror Festival di Livorno, dove il giovane regista ha ricevuto il premio di miglior fan-movie con il cortometraggio Resident Evil: Underground. Dopo quell’incontro Daniele ha lavorato con loro come operatore e regista di seconda unità nella serie Il Commissario Rex e L’ispettore Coliandro in onda su Rai2.
“In Daniele c’è molto dello stile dei Manetti – ha detto Alessandro Roja, che ha anche interpretato Song’ e Napule – si sente che è cresciuto professionalmente con loro, condividono quasi un legame genetico”. Un’impronta che riporta al 2005 e fa pensare immediatamente a Piano 17, il thriller dei Manetti Bros. ambientato in un ascensore. “I film con un’unica location mi sono sempre piaciuti – ha dichiarato il regista – L’idea era quella di rinchiudere un personaggio in una piccola ‘ambientazione’ per poi far dimenticare al pubblico (dopo 10 minuti) che il film è ‘solo lì’”.
The End? oltre ad avere l’impronta dei Manetti Bros, ha anche giovato della collaborazione di Rai Cinema, che, a detta dei Manetti, ha seguito da subito e con interesse il progetto, che sarà distribuito in sala da 01 Distribution dal 14 agosto.
Un esordio diverso da tutti gli altri, soprattutto per essere un film di genere in Italia: “C’è un cambiamento in atto nel cinema italiano – ha detto Marco Manetti – ultimamente sono usciti al cinema dei film che anni fa non avrebbero avuto spazio nei circuiti ufficiali, come Veloce come il vento, Lo chiamavano Jeeg Robot, Smetto quando voglio. Forse noi siamo stati le teste di ariete che hanno cominciato, anni fa, a sfondare questo muro, ma adesso non siamo più soli”.
L’impressione di un cambiamento radicale nel panorama cinematografico italiano ce l’ha anche il poco più che trentenne Misischia, che per anni ha fatto un cinema che definisce “ultra-indipendente”, prodotto da sé e distribuito solo in piccoli festival e su internet: “Sembra che in Italia non ci sia posto per l’horror, però il pubblico cerca quel genere prodotto all’estero, perciò non si tratta di gusto, ma di scelte produttive” ha commentato. “Forse gli stessi Rai Cinema e Alessandro Roja anni fa non avrebbero accettato di fare un film come questo” ha aggiunto Antonio Manetti.
Per quanto riguarda i generi cinematografici e la scelta di produrre questo lungometraggio d’esordio, i fratelli Manetti hanno le idee chiare: “Non ci piace catalogare i film, esiste una differenza tra autori e autori. A noi sembrava che questo film fosse bello e per questo lo abbiamo prodotto, non perché è un film di genere” ha detto Antonio Manetti.
Dovendo indicare un’etichetta per questo film, però, scelgono il genere survival, perché “Gli zombie sono cattivi senza faccia e senza motivazioni – ha detto Marco Manetti – e lasciano spazio alle vittime. In questo film, i veri protagonisti non sono gli zombie, ma i sopravvissuti”.
Come produttori al loro esordio, i Manetti Bros. sono intervenuti poco sia prima che dopo le riprese, “per una similitudine istintiva con Daniele Misischia” e si sono imposti solo per far tornare il regista sul set a girare la scena finale del film per avere più take a disposizione – uno dei rari casi in cui il produttore ci tiene a girare di più e non di meno, ha fatto notare Mario Sesti.
Sul suo personaggio e sulla parabola che attraversa durante il film, Alessandro Roja, per molti ancora Dandi di Romanzo criminale, ha detto: “Claudio Verona è un uomo focalizzato solo di sé, non ascolta e non vede nessuno, è un personaggio sconnesso dalla sua umanità, ecco perché non si fa troppi scrupoli a molestare la sua collega in ascensore. A uno come lui serve qualcosa di davvero tragico per riavvicinarsi alle cose importanti della vita”. Un personaggio che viene decostruito durante il film, che si trasforma, passando dal cinismo alla complicità, dall’essere il prototipo dell’anti-eroe a rappresentare l’umanità intera, come sopravvissuto, insieme alla moglie (di cui sentiamo solo la voce) e a qualche cecchino appostato sulle terrazze di Trastevere.
Una scena, quella delle molestie, che apre la scena in ascensore e non passa inosservata, tanto da suscitare in Mario Sesti la domanda, dichiaratamente forzata e provocatoria, sul legame tra quell’approccio violento e gli scandali che stanno sconvolgendo Hollywood, cui Marco Manetti ha risposto: “Non ci avevamo pensato, ma potremmo chiudere Weinstein in un ascensore e vedere se si redime”.
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