The Economist del 18 aprile 2002 ha pubblicato questo interessante articolo sul nuovo cinema italiano che proponiamo ai lettori di tamtam
Dimenticate il ministro italiano della Cultura, che dice che il cinema del suo paese fa schifo. Sta emergendo una nuova generazione di registi italiani che fa pensare agli anni d’oro del neorealismo, mezzo secolo fa, mentre alcuni registi venuti alla ribalta allora o poco dopo sono protagonisti di ritorni da segnalare. Luciano Emmer, 84 anni, ha appena fatto un film dopo dieci anni di pausa, mentre con Il mestiere delle armi il settantenne Ermanno Olmi ha realizzato una delle opere più maestose della sua carriera.
Nanni Moretti, che ha vinto la Palma d’oro a Cannes l’anno scorso con La stanza del figlio, è solo uno dei tanti giovani italiani promettenti. Non meno forte, benché meno noto fuori dai confini italiani, è Giuseppe Piccioni. Chiedi la luna (1991) e Fuori dal mondo (1999) lo hanno consacrato come un realista dal tocco profondamente umano. Luce dei miei occhi, il suo ultimo film, è anche il suo più bello.
È la storia, delicata ma molto emozionante, di una madre single e di un autista che diventano amici dopo che lui quasi investe la figlia di lei che sta rincorrendo il suo gatto. All’apparenza i due hanno poco in comune e la donna diffida profondamente delle intenzioni di lui, anche verso la bambina. Lentamente però tra queste solitudini nasce un’amicizia e forse qualcosa di più.
Piccioni non fa mai appello ai sentimenti facili. Al posto di immagini vistose, usa lunghi primi piani – insoliti in un film per il grande schermo – che consentono allo spettatore di cogliere gli sguardi e le sfumature persino prima che ne siano consapevoli i personaggi. Con Luigi Lo Cascio e Sandra Ceccarelli, Piccioni ha trovato due giovani interpreti di grande profondità, perfettamente intonati al tono mai forzato del film.
Le fate ignoranti è un altro bell’esempio di realismo, realizzato non da un italiano ma da un turco che vive a Roma, Ferzan Ozpetek. Come Luce dei miei occhi parla di una relazione inattesa e dà nuova profondità alla nozione di neorealismo. Rispetto ai classici degli anni ’40-50, infatti, il realismo non ha più bisogno di parlare di miseria, povertà e delle classi umili della società; oggi può, e deve, occuparsi delle classi medie.
Margherita Buy, una delle protagoniste del nuovo cinema italiano, è un medico che ha perso il marito in uno strano incidente d’auto e che deve affrontare alcune verità inaspettate quando viene a sapere che suo marito era omosessuale e che ha condotto per anni una doppia vita. Il film prende una piega imprevista quando la donna rintraccia l’amante del marito e diviene intima amica dell’uomo. I due non possono innamorarsi, ma Ozpetek, sottolineando come i legami tra gli essere umani possano basarsi su qualcosa di più, e di meno, del sesso, ci dà una toccante lezione di umanità.
Tornano alla ribalta anche le donne, in Italia si segnalano di nuovo registe di successo per la prima volta dai tempi di Lina Wertmüller, negli anni ’70. In Domani, Francesca Archibugi ci offre un’acuta analisi dell’impatto di un terremoto in una cittadina dell’Umbria. Un po’ sdolcinato nel finale, il film emoziona mostrando come nelle avversità possano nascere nuovi amori e nuove amicizie tra estranei.
È il classico film corale molto di moda nel cinema italiano. Come Il più bel giorno della mia vita di Cristina Comencini – tre generazioni di una famiglia afflitta da molti problemi – che ripropone lo stile agrodolce di questa regista. Figlia di un cineasta di prestigio come Luigi Comencini, dal padre ha preso il talento nel dirigere attori dotati portandoli a livelli memorabili, tra loro Margherita Buy, i citati Luigi Lo Cascio e Sandra Ceccarelli di Luce dei miei occhi, e la formidabile Virna Lisi, ascesa dalle frivole commedie rosa degli anni ’60 a personaggi carismatici, come la Caterina de’ Medici del film di Patrice Chereau La regina Margot (1994). Un veterano ancora al lavoro è Luciano Emmer, che debuttò nel 1949 con il neorealista Domenica d’agosto, ventiquattr’ore nella vita di un gruppo di romani in gita a Ostia nella canicola dell’estate. Il suo nuovo film, Una lunga, lunga, lunga notte d’amore rivisita il neorealismo, recuperando quella formula cinquant’anni dopo con una mezza dozzina di storie che si intersecano nella notte più lunga dell’anno, quella del solstizio d’inverno. Emmer gira come se avesse metà dei suoi anni.
Ermanno Olmi, che esordì con Il posto (1961) nell’alveo del neorealismo, si è trasformato in un artista di qualità del tutto diversa. Il mestiere delle armi, ambientato nel XVI secolo, mescola epica e suggestioni moderne. Nella storia di Giovanni de’ Medici, comandante dell’esercito pontificio, morto nel 1526 in seguito a ferite da cannone riportate in combattimento sulle sponde del Po, Olmi scorge un presagio della forza distruttiva degli armamenti contemporanei. L’universo della guerra, sembra voler dire, fece un balzo enorme in quell’epoca – un cieco progresso della tecnologia di distruzione a cui ci siamo fin troppo abituati. Era dal 1974, dai tempi del Lancillotto e Ginevra di Robert Bresson, che un film storico non arrivava a una tale potenza e concisione espressiva. Sullo schermo, gli italiani sono tornati.
L'artista Luca Musk e Franco Bellomo presentano il progetto espositivo dedicato al Maestro del Brivido. Una collezione di illustrazioni d'atmosfera che fanno rivivere i set di Argento e la loro magia
Il documentario d'esordio di Alessandra Stefani ci porta in un viaggio lungo i quattro continenti alla scoperta delle prospettive che ci offrono i più importanti architetti contemporanei per un mondo più sostenibile. In sala con Adler dal 27 al 29 settembre
La redazione va in vacanza per qualche giorno. Riprenderemo ad aggiornare a partire dal 2 gennaio. Auguriamo un felice 2018 a tutti i nostri lettori.
E' ancora Cattivissimo 3 a guidare il box office per il terzo weekend, con 2.471.040 euro. Al 2° posto, con 1 mln 919mila euro, sfiorando i 6 mln totali, il kolossal di Christopher Nolan Dunkirk