TORINO – “Controluce è la magia dell’interpretazione dell’archivio innestata nella magia del cinema: quindi una doppia magia”. Palpabile – e condivisibile – è l’entusiasmo di Tony Saccucci, mentre parla del suo nuovo film, presentato nel Concorso Documentari del 42° Torino Film Festival. Prodotto e distribuito da Luce Cinecittà, Controluce racconta la figura del pioniere della fotografia giornalistica Adolfo Porry-Pastorel attraverso una scelta registica molto forte, quella di far dialogare le immagini d’archivio e quelle di finzione. Per la maggior parte del film, infatti, vediamo l’attore Michele Eburnea che interpreta il “fotografo del duce”, con un’impostazione fotografica tale da conferire una continuità assoluta tra immagini d’epoca e ricostruzioni moderne. “Nessuno saprà mai se il Porry-Pastorel che vediamo è quello vero o quello di Michele Eburnea che, come tutti i bravi attori, è un truffatore del reale” dichiara il regista.
“La relazione tra l’archivio e il girato è une relazione dialettica. – continua Saccucci – L’uno dipende dall’altro e viceversa. Non abbiamo iniziato con uno per poi arrivare all’altro. La nostra narrazione parte dal 1915, anche se la storia di Porry-Pastorel come professionista inizia nel 1908, e arriviamo fino al 1944. Per raccontare questa storia ci dobbiamo calare negli uomini del passato, l’unico modo per farlo è immergerci in quello che vedevano. Non possiamo farlo da un punto di vista uditivo (se non dal ‘28 in poi), non dal punto di vista olfattivo, ma possiamo farlo attraverso gli occhi e le immagini degli operatori del passato. Questo si chiama archivio. Siamo partiti da lì: vedere come l’unica realtà che possiamo immaginare, la “cosa in sé” kantiana, è immaginabile ma non è conoscibile, la realtà fenomenica è l’unica che possiamo conoscere”.
“La selezione arriva attraverso il mio personale pregiudizio su come vedo il film. – aggiunge – Da lì ho dato vita alla mia realtà che è stata girata da altri. Poi abbiamo iniziato a montarla con Patrizia Penzo per un mesetto e mezzo, abbiamo completato la sceneggiatura e su quel montato abbiamo girato. Il che significa che non solo abbiamo girato i raccordi logici e cronologici, ma anche visivi. Nei limiti del possibile e del budget, siamo riusciti a ricostruire sul set quello che veniva rappresentato nelle immagini d’archivio. L’esempio paradigmatico è la scena in cui Michele dà lo specchietto a una signora. La scena sembra un tutt’uno, ma la persona con cui parla Porry-Pastorel è una donna sì realmente esistita, ma nella Parigi di fine Ottocento. Abbiamo ricostruito quel costume indossato da quella signora, che poi Cecilia Spano ha interpretato”.
Ma chi era Adolfo Porry-Pastorel? È stato il fondatore dell’agenzia fotografica V.E.D.O. – visioni Editoriali Diffuse Ovunque, all’avanguardia nel racconto dell’attualità e della cronaca per tutto il ventennio fascista. Con la sua capacità di essere sempre “al posto giusto al momento giusto”, il fotografo (in un certo senso progenitore dei moderni paparazzi) ha utilizzato gli strumenti in suo possesso per immortalare e rendere eterni alcuni dei momenti più iconici del regime. Nonostante un’avversione malcelata per Mussolini che scaturì in seguito in una collaborazione diretta con i partigiani, Porry-Pastorel era costantemente attento a scrutare con occhio lucido e ironico le contraddizioni del suo tempo. Iconica la foto in cui svelò i trucchi cinematografici dietro la propaganda fascista e ancor di più lo scambio di battute avuto con Mussolini in persona: ‘Sempre il solito fotografo’ – ‘Sempre il solito Presidente del Consiglio’.
Narratore della storia è Nino, il giovane assistente che accompagnò Porry-Pastorel nei primi anni della sua attività. “Un’idea balenata mentre prendevamo un caffè alla Festa del Cinema – racconta Saccucci – È stato Roland Sejko a suggerire che questa storia lui l’avrebbe fatta raccontare da un assistente, una voce esterna. Ho pensato subito che fosse una cosa bella, e mi sono accorto ci fossero almeno quattro foto dell’assistente Nino: a 12 anni, a 16, a 18. L’unica deroga che ci siamo permessi, che è filologicamente al limite della verità, è la vicenda dell’Istituto Luce che ci serviva da gancio per raccontare il conflitto esistente tra l’agenzia di Porry-Pastorel e il Luce. C’è questa lettera in cui ci si lamenta del fatto che si piazza sempre in mezzo e impalla i fotografi. Una cosa talmente vera che si vede nelle immagini d’archivio: c’era una ripresa di Mussolini in cui i fotogrammi saltano e rallentando, ci siamo accorti che era stato proprio Porry-Pastorel a essersi messo davanti”.
Nei panni di Porry-Pastorel in questo film in cui “il confine tra fiction e documentario è molto difficile da tracciare” troviamo Michele Eburnea, giovane attore già visto ne Il sol dell’avvenire ed Esterno notte, segnalato dai David di Donatello come David Rivelazione Italiana. L’attore è il protagonista assoluto della pellicola ed è chiamato a cambiare più volte registro, da sequenze profondamente ironiche ad altre molto più drammatiche. “Non conoscevo il personaggio, che poi mi ha affascinato tantissimo. – dichiara Eburnea – C’erano tanti punti di contatto, a partire dal giorno del compleanno, il 14 novembre. Lui è stato il primo a capire il meccanismo della comunicazione: esisto se vengo riportato in qualche modo. Nel suo lavoro c’è un’ironia diffusa e una giocosa mancanza di rispetto nei confronti dell’autorità. Abbiamo iniziato un percorso con Vania e Lidia Colasanti, che sono le depositarie storiche della memoria di Porry-Pastorel. Hanno conservato tantissimi oggetti che rendevano vivo il personaggio. Abbiamo tanto chiacchierato con loro e ho fatto tante domande: quali erano le sue parolacce preferite, se aveva dei tic gestuali. Questo è stato il lavoro invisibile. Per quanto riguarda quello visibile, io e Tony ci siamo molto confrontati. La scena delle lettere con il figlio l’abbiamo pensata insieme, per capire quali fossero i meccanismi visivi e drammaturgici che potessero far empatizzare lo spettatore in così poco tempo con un’agonia che in verità dura parecchi anni. Il tempo che lui ha dedicato al suo lavoro togliendolo alla famiglia, poi gli è stato sottratto dal destino”.
Controluce rappresenta un esperimento felicemente riuscito che ci offre una nuova e fresca modalità di pensare al documentario, veicolando l’informazione senza mai andare a discapito dell’emozione. Una modalità che lascerà maggiormente impressa la figura straordinaria di Porry-Pastorel nella mente e nel cuore degli spettatori. Fortunatamente non si tratterà di un esempio isolato: “Io e Michele abbiamo scritto un film, che stiamo per girare, con le stesse modalità formali di Controluce. – rivela in conclusione Saccucci – Sarà incentrato sulla figura di Enrico Toti e sarà l’esasperazione, il perfezionamento, di questa modalità di lavorare tra fiction e archivio. La scrittura già l’abbiamo, ora dovremo girare con il buon direttore della fotografia Filippo Genovese. Un film che presenta delle difficoltà tecniche non indifferenti, perché lui a un certo punto sarà senza una gamba. Saranno due i personaggi, Toti e l’amico che racconta la sua incredibile storia. Fece 20mila chilometri in bicicletta senza una gamba. Una storia che nessuno conosce e che noi vogliamo raccontare agli italiani”.
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