Sguardo crucciato e pugni chiusi a stringere una qualsiasi arma: Jason Statham è in missione, e cerca vendetta. Le premesse dell’ultimo film di David Ayer (Suicide Squad), The Beekeeper, in sala dall’11 gennaio, alludono alla matrice di tanti action di successo. Statham fa però tutta la differenza del mondo e il suo stile, distaccato ma orgoglioso, è un magnete puntato sul pubblico. Ad aiutare è soprattutto l’idea di rendere il burbero protagonista un apicoltore, aprendo The Beekeeper a una metafora tra società e alveare, natura e corruzione; vero elemento distintivo del film.
Jason Statham è Adam Clay, un misterioso ma tranquillo apicoltore. Ogni giorno alleva api da miele sul terreno di una dolce signora, Eloise Parker (Phylicia Rashad), ex insegnante responsabile di un ente di beneficienza per bambini. Poi, la tragedia: un gruppo di spietati truffatori prende di mira l’amica di Adam, spingendola fino al suicidio dopo averla privata di tutti i suoi averi. Adam non ci sta, e la sua missione diventa vendetta. Scopriamo così i “Beekeeper”, organizzazione paragovernativa incaricata di mantenere gli equilibri sociali nella democrazia statunitense. Adam è stato uno di loro, e non si ferma davanti a nessuno.
“Ogni società dipende dagli apicoltori”, ha raccontato Ayer in molte interviste. “Niente api, niente agricoltura, niente civiltà. Niente di tutto questo esisterebbe senza gli apicoltori. Penso che abbiamo sempre quel sogno o quell’aspirazione che forse ci sia qualcuno che si prende cura di noi e che, quando il sistema fallisce, possa portare la giustizia di cui abbiamo bisogno”.
David Ayer sfrutta corpo e volto di Statham portando all’estremo ogni azione. The Beekeeper è un bignami del cinema action più riuscito degli ultimi anni, ricordando spesso quello che è forse il modello più chiaro dell’intera operazione: John Wick. Anche per The Beekeeper si sogna una saga di più film, già si parla di sequel. Statham mena (quasi) quanto Keanu Reeves, ma regia e ritmo del racconto hanno poco altro da spartire con la chiarezza di John Wick. Tutto è azione e anche una graffetta, in mano ad Adam, può essere letale. Il film cerca il confronto con numerosi classici d’azione e revenge movie, da Die Hard a 48 hours, bramando una personalità, e un tono, mischiando risse da bar e accuse sociali. La fotografia di Gabriel Beristain aiuta in tal senso a trovare una personalità all’azione, anteponendo l’oro del miele al grigiore del male, rappresentato dai gruppi di cybercriminali nemici di Adam.
Dalle truffe digitali ai pericoli per le democrazie, The Beekeeper propone un giustiziere a difesa “dell’alveare” sociale, anche se più che un eroe, il suo protagonista finisce spesso ad assomigliare alle proprie nemesi. L’intricato e ben poco convincente complotto al centro del film, invito continuo a sospendere la propria credulità, è spesso un macigno sulla spettacolarità delle scene d’azione. La sceneggiatura di Kurt Wimmer cerca il parallelismo sociale, provando continuamente a specchiarsi con il turbolento presente statunitense mentre il protagonista avanza a suon di sedie in faccia. La rissa continua, con pugni volanti e oggetti resi arma, è il metronomo di The Beekeper, che non manca di assestare buoni momenti di intrattenimento, di molto superiori agli scambi verbali tra le parti coinvolte.
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