Un’indagine sul cinema e il mondo del lavoro. O meglio, su come libri, televisione, grande schermo e Internet raccontano l’occupazione. È l’obiettivo del neonato Multimedia Labor Festival, una rassegna-laboratorio che sta prendendo forma in questi giorni e che, tra ottobre 2001 e aprile 2002, si terrà a Sesto San Giovanni. L’iniziativa è promossa – tra gli altri – dall’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, dall’Istituto del Lavoro di Bologna e dal Comune di Sesto San Giovanni.
Anteprime, proiezioni di inediti e convegni internazionali saranno l’anima dell’evento che cercherà di capire come è cambiato il mondo del lavoro e i modi con cui registi, scrittori e pubblicitari lo rappresentano.
Un festival che non si limiterà alle fabbriche e alle tute blu; anche perché la classe operaia è arrivata al Terzo millennio in gran parte trasformata in un esercito di colletti bianchi, e a voler puntare l’obiettivo esclusivamente sugli operai si rischia di aver poco da raccontare.
O forse no? Bisognerebbe chiederlo ai giovani registi “impegnati” che hanno trovato nella fabbrica ispirazione e passione. Guido Chiesa, per esempio, che oltre a Non mi basta mai già nel 1994 con Babylon ha portato sullo schermo la confusione personale e politica di un operaio per scelta. O Daniele Segre che, dopo Crotone Italia sull’occupazione dell’Enichem, del ’94, e Dinamite, ha raccontato le lotte degli operai di una fabbrica in Sardegna, rimasti per mesi senza stipendio.
Per il resto, il cinema italiano la fabbrica non l’ha frequentata molto. Tra i primi, correva il 1961, Ugo Gregoretti, che in I nuovi angeli metteva a confronto la noia dei figli di papà milanesi con la fatica degli operai chiusi nelle fabbriche. Anche negli anni Settanta, quelli dei cortei arrabbiati davanti alla Fiat di Torino, in pochi hanno frugato in questa realtà. In polemica con il capitalismo e la cultura di massa, Elio Petri ha girato nel 1971 La classe operaia va in paradiso, l’anno dopo è stata Lina Wertmuller a raccontare in chiave grottesca la storia di Mimì metallurgico ferito nell’onore.
Poi è arrivata la tecnologia, l’automazione, i figli di chi lavorava alle presse sono andati a scuola. “Ma la classe operaia non è affatto morta – racconta Claudio Sabattini, segretario nazionale della Fiom-Cgil, che trent’anni fa lavorava al fianco dei lavoratori barricati dentro lo stabilimento Mirafiori della Fiat – Le condizioni di chi lavora in fabbrica sono cambiate, ma il lavoro è ancora più precario e i ritmi sono più frenetici. Lo stress e la qualità della vita sono peggiorati, mentre la coscienza di classe è sparita, il che complica ancora di più ogni battaglia da portare avanti”.
Lo sa bene Ken Loach, regista inglese che il 9 febbraio sarà a Parma per parlare del suo ultimo film Bread and Roses. Lavoro sottopagato, diritti calpestati e battaglie sindacali sono gli ingredienti che il “cantore della working class” ha scelto per denunciare la storia di una giovane emigrata messicana negli Usa.
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