Sulla Rai ‘Black mafia’: il primo doc sulla mafia nigeriana in Italia

Il film è una coproduzione Bronx Film, Luce – Cinecittà e Rai Documentari in onda in prima serata venerdì 10 dicembre su Rai Tre


E’ dedicato al fenomeno della mafia nigeriana il prossimo appuntamento della serie Crime Doc targata Rai Documentari: Black mafia è una coproduzione Bronx Film, Luce – Cinecittà e Rai Documentari in onda in prima serata venerdì 10 dicembre su Rai Tre.

Una squadra di agenti della polizia locale di Torino, ispirati dalla caparbietà del loro capo, Fabrizio Lotito, raccoglie la denuncia di una ragazza nigeriana contro la sua madam. Quella che sembra la solita storia di sfruttamento della prostituzione si trasforma nel racconto della mega-inchiesta Athenaeum condotta dalla Procura di Torino tra dicembre 2012 e settembre 2016 contro una delle più aggressive tra le organizzazioni criminali transnazionali: la mafia nigeriana.

Una mafia che agisce non solo con la violenza fisica, ma con un’arma che nessun’altra mafia possiede: il voodoo. L’inchiesta ha portato all’esecuzione di una misura restrittiva per 44 cittadini nigeriani-affiliati degli Eye e Maphite-operanti nella provincia di Torino, a Novara e Alessandria e a scoprire una grande organizzazione internazionale, dai contorni paragonabili alle nostre mafie, che minaccia, sfrutta e talvolta uccide, con legami internazionali in Canada, Regno Unito, Olanda, Germania, Malesia e Ghana.

Black mafia, tratto dal libro inchiesta “Mafia nigeriana” di Sergio Nazzaro, con la regia di Romano Montesarchio, è il racconto di questa nuova criminalità che ci conduce in un viaggio dalla Nigeria all’Italia – tra Torino, Castel Volturno, Asti, Roma e Bologna – dalle radici storiche all’incredibile espansione attuale del fenomeno. Attraverso le interviste ai protagonisti, ricostruzioni cinematografiche, l’uso di intercettazioni originali, immagini di repertorio e documenti esclusivi, Il documentario immerge in una realtà mai vista e ascoltata prima, anche grazie alle voci dei protagonisti, come Fabrizio Lotito, Commissario SAT, Stefano Castellani, magistrato per l’operazione Athenaeum, alcune ragazze vittime di tratta e agenti della SAT di Torino, accanto ad esperti come Sergio Nazzaro, giornalista e scrittore tra i massimi conoscitori di mafie e Giancarlo Caselli, ex Procuratore Generale di Torino.

La mafia nigeriana, con tutte le sue singole declinazioni, nel nostro paese è da considerarsi, senza alcun dubbio, la quinta mafia. Dopo “Cosa nostra”, “Camorra”, “’Ndrangheta” e “Sacra Corona unita”, la Mafia nigeriana con i suoi numerosi Cults è divenuta negli ultimi vent’anni alleata e, spesso, antagonista temuta delle nostre mafie. Nelle procure di tutt’Italia si registrano sempre più inchieste riguardo il fenomeno nigeriano e, per la prima volta nella storia giudiziaria italiana, si sono emesse condanne per Associazione di tipo mafioso (416 bis) anche per criminali non italiani. In concomitanza con l’inarrestabile fenomeno migratorio, la mafia nigeriana ha origini decennali e col tempo si è imposta come principale organizzazione riguardo lo sfruttamento della prostituzione e il traffico internazionale di stupefacenti.

Secondo le proiezioni dell’organizzazione mondiale per l’immigrazione, la tratta di esseri umani nel 2019 conta annualmente 800mila vittime e il traffico di esseri umani è al terzo posto per giro di affari con una stima di 31 miliardi di dollari dopo il traffico di droghe e di armi. Ed i confini d’azione internazionale, partendo dall’Italia anche come modello mafioso cui ispirarsi, hanno cominciato ad essere indecifrabili.

Chiara Sbarigia, presidente di Cinecittà dice “sono orgogliosa della mia squadra editoriale. Sono arrivati a Cinecittà 108 progetti, e invitiamo tutti a portarne altri. Abbiamo doveri da servizio pubblico, di proporre talenti, produzione indipendente e belle storie, facendo un bel lavoro di razionalizzazione. Nel ‘95, quando era nata l’Associazione Produttori Televisivi, facevano obiezione alle fiction dicendo che non funzionavano, che il pubblico non le voleva e voleva i film americani. Ma il pubblico in realtà vuole belle storie con bella qualità produttiva, bisogna costruire il pubblico e insistere. Noi abbiamo l’Archivio che al 90% dà il via alle nostre produzioni, l’Archivio sarà valorizzato con produzioni di Podcast essendo ormai i DVD un supporto del passato. L’Archivio deve anche essere riletto e reimmaginato, attraverso collaborazioni come quella con Rai Teche”.  

“Per noi di Bronx – dice il produttore di Bronx Film Gaetano Di Vaio – è la prima esperienza con Cinecittà e Rai Documentari. Prima lavoravamo col cinema, tra Torino e Castelvolturno, ad esempio con un film Là-bas che ha vinto un premio importante a Venezia. Sentivamo il progetto nelle nostre corde, sappiamo che è solo il primo di una lunga serie”.

Enrico Bufalini dell’Archivio di Luce Cinecittà sottolinea: “cercavamo nuove storie per ampliare il linguaggio espressivo di Cinecittà, resta nelle nostre corde anche il documentario tradizionale ma cerchiamo nuove forme. Qui abbiamo lavorato in videoconferenza sotto pandemia, si tratta di un prototipo che vorremo portare avanti a seguito di questo piacevole successo. Abbiamo partecipato a Normal di Adele Tulli e Selfie di Agostino Ferrente, progetti forti di cinema del reale. Noi dovremo continuare a fare archivio contemporaneo, senza fermarci, come con Munzi e Rohrwacher, ma abbiamo in cantiere anche cose nuove, una storia tratta dai materiali di Ciano, un grande ritratto di Mussolini e una biografia di Sergio Marchionne, quindi archivio tradizionale. E poi ci sono appunto le novità di linguaggio, come questa miniserie, che esce sia in tv che su piattaforma Rai Play. Stiamo costruendo prodotti che possono essere visti anche dal pubblico che ama l’on demand. Non è tanto un cambiamento di genere quanto un arricchimento di linguaggio”.

Il regista Romano Montesarchio sottolinea: “Un regista può proporre storie ma solo con la spalla e la comprensione dei produttori si trova una soluzione drammaturgica e vicina che, con un po’ di fortuna, riesce. La miccia di tutto è Andrea Di Consoli, che ringraziamo fortemente. Ci siamo rivolti a delle case di accoglienza,  come ‘La Casa Giusta’ di Formia. cercando precise storie di tratta che si incastrassero col nostro filo drammaturgico, le storie si somigliano ma abbiamo scelto anche chi riusciva a raccontarla meglio. Da parte delle forze dell’ordine c’è molta consapevolezza, ci sono state indagini e arresti, ma è la cittadinanza che è poco informata. Pensiamo al fenomeno dell’immigrazione nigeriana limitandoci a quello che si vede, ragazzi che vendono il fumo e ragazze che si prostituiscono, ma non si sa cosa c’è dietro. Questo tipo di lavori deve fare da cassa di risonanza. C’è una mafia strutturata a livelli grandissimi”.

Nel film ci sono anche alcuni filmati di ricostruzione. “Non in termini prettamente cinematografici – risponde il regista – l’abbiamo anzi molto sporcata, come se fosse una presa diretta in un passato molto vicino. Come fanno gli americani, la ricostruzione è realistica, l’ho studiata e ho cercato di applicarla. E’ una dimensione onirica, il ricordo, c’è lo slow motion, il linguaggio del cinema. Anche a volte in maniera estemporanea, non avevamo molto budget e a volte mi sono prestato anche io a fare il figurante. Sapevo che sarei stato sempre presente sul set e questo mi è tornato comodo”.

Sergio Nazzaro, scrittore del libro da cui è tratta la serie, dichiara “Bronx,  ai Documentari e Cinecittà insieme non è cosa da poco. Si parla di Mafia Nigeriana, di debiti. Parliamo di 50mila euro di debiti e le ragazze in strada si prendono venti euro, quanti ce ne vorrebbero per saldare il debito? Questa è linea di consapevolezza verso gli ultimi, c’è sfruttamento e schiavitù. Questa non è finzione, è realtà. Il tema è innovativo, la Mafia Nigeriana si sviluppa in Italia e nessuno prima aveva preso il coraggio di farne un film o una serie, senza retorica. L’amministrazione voleva chiudere ‘La Casa Giusta’, ora portando il documentario non penso sia possibile, sapendo che ci sono ragazze con quella storia che si affacciano al mare da cui sono venute. Il patrimonio investigativo in Italia è straordinario ma disorganizzato e sparpagliato. Siamo l’Italia, al centro del Mediterraneo, c’è questo fenomeno criminale, ci vorrebbero osservatori e una visione più organizzata di quella che è una criminalità di tipo geopolitico. Invece si fanno indagini e si chiudono e persone che hanno capacità ed esperienza poi finiscono a fare verbali per altri casi che non c’entrano niente”.

Duilio Giammaria, direttore di Rai Documentari spiega che “ci saranno altre serie, con l’idea del servizio pubblico, con temi come  l’omicidio di Marta Russo, Il Mostro di Firenze, la Uno Bianca, penso che questo film si vedrà e si venderà anche all’estero. E naturalmente la seconda parte di Black Mafia. Stiamo lavorando su una prima serata, ci parametriamo sull’ascolto come se fosse fiction, due pezzi smezzati con un piccolo recap, musica e grafica. Per noi la prima serata è la Formula Uno, se sbagli una curva sbatti. Libia, Afghanistan, Crime, le grandi inchieste italiane e internazionali… stiamo sfidando il campionato, ma siamo sicuri che presto il pubblico italiani ci seguirà, come per la BBC, la France Television… le seconde serate quasi non ci sono più, sono come le mezze stagioni, ma nel nuovo disegno di Carlo Fuortes il documentario troverà spazio. Abbiamo visto come la fiction italiana sia diventata da residuale a rilevante,. Il valore e l’investimento si è spostato verso la  produzione originale e la coproduzione, saremo noi a portare cose all’estero, non solo acquisire, anche per il significato politico che c’è dietro questa scelta. Significa dire al mondo ‘guardate cosa l’Italia sa fare, e come può vedere il mondo”.

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06 Dicembre 2021

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