“Diao Yinan porta una prospettiva poetica e un’estetica affascinante in un noir dalle esplosioni di efferata violenza, che diventa anche l’occasione per una riflessione sulla modernità cinese. Una sarabanda del caos, dove a dominare è il senso di impotenza e di morte: il regista si riappropria del ‘genere’, senza per questo smarrire il contatto con la realtà”. Con questa motivazione il Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI ha designato Il lago delle oche selvatiche (nelle sale italiane dal 13 febbraio, con Movies Inspired) quale Film della critica.
Diao Yinan, 49 anni, oltre ad essere una figura centrale del teatro d’avanguardia, è senza dubbio tra le migliori rivelazioni del cinema cinese degli ultimi anni: debutta come attore in All Tomorrow’s Parties di Yu Lik Wai che viene presentato in selezione ufficiale al festival di Cannes, nella sezione Un Certain Regard. Lo stesso anno scrive e dirige Uniform. Questo primo lungometraggio di finzione gli vale il Grand Prix al Festival Internazionale del Cinema di Vancouver. Nel 2007, firma un secondo lungometraggio: Night Train, selezionato al festival di Cannes, nella sezione Un Certain Regard, viene accolto entusiasticamente della critica, che ne apprezza lo stile minimalista. Nel 2013 realizza il suo terzo lungometraggio: in competizione alla Berlinale, Fuochi d’artificio in pieno giorno vince l’Orso d’oro come miglior film e l’Orso d’argento come miglior attore per Liao Fan. Nel 2019, il suo nuovo lungometraggio, Il lago delle oche selvatiche, interpretato da Zenong HU Ge (è il protagonista maschile) e dagli stessi protagonisti del film precedente – Gwei Lun Mei e Liao Fan -, con molti attori non professionisti, viene presentato al Festival di Cannes.
La storia del film è questa: un capobanda, cacciato da una sorta di “assemblea nazionale di gang di ladri”, in cerca di redenzione e una prostituta (“bagnante”) pronta a rischiare tutto per riavere la sua libertà, si ritrovano inseguiti dalla polizia. Sulle rive del lago delle oche selvatiche si giocherà l’ultima partita che deciderà il loro destino. La drammaturgia è barocca, con momenti sia satirici che spettacolari, per un intenso thriller che ritrae una Cina alla deriva: siamo nella regione di Wuhan, soprannominata “la zona dei cento laghi” e – come ci dice l’attualità – focolaio originario dell’Apocalisse del Coronavirus.
Sulla genesi del film, il regista confessa: “Dopo Night Train sognavo di realizzare un thriller. Sono un grande appassionato dei noir occidentali degli anni ‘40 e ‘50, che è un genere che si presta bene per esprimere osservazioni personali sugli uomini e sulla società. Avevo immaginato la storia de Il lago delle oche selvatiche prima di girare Fuochi d’artificio in pieno giorno, ma non mi sembrava abbastanza rifinita, così la misi in un cassetto. Quando i media riportarono una storia simile, la mia idea non era più solo un’ipotesi letteraria, era diventata realtà. Un solo esempio: un’assemblea nazionale di ladri si è davvero tenuta a Wuhan nel 2012, con delegati provenienti da tutto il paese. Sono stati denunciati e, quando la polizia è arrivata, erano nel pieno della spartizione dei territori, di fronte a una cartina della città! Quando ho letto questa storia sono scoppiato a ridere e ho pensato che sarebbe stata una scena formidabile, incredibilmente satirica”.
Con tutte queste premesse, la prima immagine che gli è venuta in mente è stata quella dell’incontro tra un uomo e una donna in una piccola stazione di periferia, in una notte di pioggia. A seguire, tra macerie, detriti, mura scorticate dal tempo, trattorie polverose, un film, essenzialmente raccontato dalla sua luce, dal suo movimento, dalla sua visione, dall’ortografia dei suoi personaggi più che dalla loro psicologia. Un film come regolato da fili di seta. E la notte in cui tantissimi personaggi si muovono – tra motociclette pazze, colpi di pistola luminosi, strade buie sfregiate con luci al neon, riflessi di pioggia – sembra un incubo d’ispirazione per l’artista. Diao Yinan sembra voler reinventare l’espressionismo nel modo moderno della Cina. E forse dare senso a una frase del primo teorico cinematografico, Ricciotto Canudo, che scrisse nel 1911: “Pittura fatta con pennelli leggeri”. Sarà una delizia per gli amanti del cinema d’autore stilizzato, ma chi è alla ricerca di un “film per sentirsi bene” dovrà scegliere altro.
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