MILANO – Kimi e Angela, la prima un’assistente domestica intelligente (come potrebbero essere Alexa o Siri) e la seconda, interpretata da una Zoë Kravitz dal carré bluette, che convince nel ruolo, è una programmatrice informatica con la fobia per i luoghi affollati, la sua agorafobia s’è acuita con l’avvento della pandemia recente.
Vivono nello stesso appartamento, quello di Angela, e Kimi è un suo ricorrente interlocutore: Angela interagisce “con il mondo” – dalla mamma al dentista – esclusivamente per via artificiale però guarda – ed è guardata – dalle grandi vetrate del suo bell’appartamento dall’atmosfera industry, “osservazione” che non difficilmente chiama subito alla mente La finestra sul cortile di hitchcockiana memoria, cui probabilmente Steven Soderbergh, regista del film, ha guardato con ispirazione.
Il Noir in Festival ha presentato in anteprima italiana, Concorso Internazionale, il film prodotto da New Line per HBO: visto al momento solo negli Stati Uniti, prossimamente disponibile su Sky e NOW; Kimi è un noir che intriga, incuriosisce, spiazza e sorprende. È affascinante e inquietante l’uso narrativo che Soderbergh fa della “voce”, sia quella di Angela che parla con Kimi, sia di quella artificiale di Kimi che risponde e soddisfa le richieste umane, ma soprattutto quelle di Brad, “uomo della società” produttrice della tecnologia, sotto il tiro del ricatto scopriremo, e ancor più quella dell’utente D2626, la vittima. Di lei solo la voce, la paura nel tono e nelle parole, la richiesta di aiuto affidata all’intelligenza artificiale stessa, e la casualità dell’ascolto da parte di Angela, la cui empatia per quanto subìto dalla donna riesce a essere il motore che le fa superare se stessa, la porta a riuscire a uscire di casa.
E se è dentro le case – quella della vittima e quella di Angela – che nasce la storia, è all’esterno che s’innesca un labirinto mentale e fisico, quello degli scambi verbali tra gli esseri umani – Angela cerca di denunciare il fatto registrato alla responsabile della sua azienda, Natalie -, e quello dell’inseguimento fisico ai danni di lei, intercettata digitalmente per essere messa a tacere, perché lì, in quello che ha casualmente sentito, non c’è solo un crimine efferato contro una donna, ma anche la chiave del mistero di Brad, il ricatto e un effetto domino sempre più scuro che si tesse tra intelligenze artificiali e istinti primari dell’essere (dis)umano.
È interessante – inoltre, tessuto nella trama, e non secondario alla stessa – il profilo stesso di Angela, non solo una solerte impiegata del suo mestiere, o un’agorafobica, ma una persona che – a causa della sua ossessione per il mondo esterno – s’è creata una dimensione vitale fittizia, naturalmente artificiale, che vive su Istagram, paradiso della menzogna (di molti esseri umani comuni): Angela rilutta tutto ciò che la possa portare a dover affrontare la causa del suo problema – parlare di cosa sia successo a Evergreens, come la sprona a fare la sua terapeuta, naturalmente in una seduta via zoom -, ma proprio lo specchiamento personale verso un’altra donna vittima di “aggressione” – probabilmente omicidio premeditato – le scuote il trauma personale e le innesca la reazione, naturalmente motore del film.
Come un cerchio, il film s’appresta all’epilogo lì dove tutto è iniziato, nella casa, quella di Angela, quella “di Kimi”, ma la geometria narrativa si compie perché Soderbergh fa espletare al suo personaggio umano il proprio intero arco, dall’embrione alla maturità insiti nel ruolo, riuscendo ad agganciare con fascino e astuzia tematiche attuali – il femminicidio, la pandemia, il dominio della tecnologia, la perdita dei rapporti umani diretti – ma mai cedendo alla pedanteria dell’ovvio.
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