Almeno due persone nella storia hanno maltrattato Mick Jagger. Una di queste era Keith Richards, il suo migliore amico e co-fondatore dei Rolling Stones. L’altra è stata M.C. Escher. Sì, lui: Maurits Cornelis Escher (si pronuncia Escer, con la c dolce), M.C.E., come amava firmarsi. La lettera che indirizzò a Peter Swales, collaboratore della band, è rimasta nella memoria: “Voglio dedicare tutto il mio tempo e attenzione ai molti impegni che ho; io non posso accettare qualsiasi altra richiesta o perdere del tempo per la pubblicità. A proposito, si prega di dire al signor Jagger che per lui io non sono Maurits, ma, molto sinceramente, M.C. Escher”.
Jagger ci rimase malissimo e uscirono con una bruttissima fotografia di gruppo. La fondazione che gestisce i diritti di Escher concesse invece una sua immagine per la cover di On the run dei Pink Floyd. Dopodiché fu il diluvio con tante immagini, spesso piratate. E, com’è noto, oltre al disegno, la poetica figurativa di Escher ha influenzato anche il mondo del cinema della televisione e della pubblicità. Riferimenti chiari alle sue opere – soprattutto a Case di scale – Relatività del 1951– si trovano, tanto per citarne solo alcuni, nella saga di Harry Potter con le rampe del Castello di Hogwarts, nel film Labyrinth – dove tutto è possibile con David Bowie, e in Una notte al museo III con Ben Stiller e Robin Williams, con una intera sequenza girata dentro al quadro. Senza dimenticare qualche fotogramma della sigla di testa dei Simpsons, in cui il soggiorno della nota famiglia di Springfield si trasforma in uno scenario escheriano.
Le vicende artistiche e umane del famoso artista grafico olandese, sono ora condensate in un film documentario di circa 80 minuti (Escher – Viaggio nell’infinito, di Robin Lutz, in sala dal 16 dicembre, con Feltrinelli Real Cinema e Wanted Cinema), che ci racconta come ha saputo usare la scienza e trasformarla in lessico artistico. Animali che si rincorrono e inseguono fuori e dentro al foglio, mani che si disegnano da sole, geometrie impossibili, prospettive incredibili, quadrati che diventano pesci che diventano uccelli che diventano uomini che tornano quadrati. Sono i temi, i soggetti più ricorrenti nei disegni di Escher, straordinario artista che ha fatto della capacità di stupirsi la base della sua creatività: lui era uno che rincorreva la “Meraviglia”, mentre loro, i colleghi, “rincorrevano la Bellezza”.
“Sento che c’è una sola persona nel mondo che può fare un film veramente buono sulle mie stampe: io stesso”. Questa frase la scrisse Escher a un collezionista americano della sua opera nel 1969. Ed è esattamente quello che fa in questo film: è il regista, non letteralmente ma simbolicamente. Oltre a un visionario artista grafico, M.C.E. era un acuto osservatore che ha fermato le sue riflessioni in numerosi diari, lettere, lezioni e cataloghi. Così, viene creata un’immagine della sua vita personale descritta con le sue stesse parole, i dubbi, i momenti di euforia, le considerazioni politiche, i suoi stupori, i suoi sviluppi artistici e ovviamente le opinioni sul suo lavoro. Il pubblico vede il film attraverso i suoi occhi e ci racconta con le sue parole quello che ha visto, quello che ha provato, che l’ha ispirato, che l’ha stupito, che l’ha irritato.
Andremo sotto la sua pelle, il più vicino possibile per conoscere e capire questo grande artista grafico. Il grande attore inglese Stephen Fry presta la sua voce. A completare il ritratto dell’artista, nel documentario compaiono i figli – George di 92 anni e Jan di 80, che ricordano il padre e gli anni della loro infanzia – e Graham Nash (di Crosby, Stills, Nash & Young): grazie all’opera di Escher la rock star ha scoperto l’“arte”. Ed ora oltre ad essere un cantante è un collezionista e un editore di libri d’arte. Il film mostra anche spezzoni storici di Leeuwarden dove è nato, Haarlem dove è stato educato, l’Italia dove ha vissuto: in Toscana, Calabria, costiera amalfitana – a Ravello conobbe la sua futura moglie, Jetta Umiker e ad Atrani s’ispirò (con le case e le scale) per la celebre opera Metamorfosi due – fu colpito dal blu del cielo e particolarmente dalla luce, mentre di Roma rimase impressionato dalle sue visioni notturne.
Vivendo in Italia tra gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, non potè non subire il clima politico italiano. Nel 1935, per non vedere il figlio George diventare un Piccolo Balilla, lasciò il nostro Paese e si trasferì prima in Svizzera, e poi in Belgio, infine in Olanda, dove sarebbe vissuto dopo la guerra e fino alla sua morte, il 27 marzo 1972. Come Michelangelo e Leonardo Da Vinci, Escher era mancino. E’ uno degli artisti olandesi più noti nel mondo dopo Rembrandt, Van Gogh e Vermeer. Il suo lavoro ispira ancora oggi fumetti, film, pubblicità, tatuaggi.
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