Per la media del cinema italiano, Stefano Vicario è un esordiente di lusso. Il suo primo film, Sottovento!, ha alle spalle un budget di un miliardo e 300 milioni divisi tra Ama Film e Rai Cinema; un cast di nomi noti, come Claudio Amendola (leggi l’intervista su CinemaZip) e l’ex “commessa” Anna Valle; 8 settimane di riprese, di cui sei in mare, in barca a vela, sfidando il calendario e gli elementi della natura. Il film esce venerdì 15 giugno, in questa fine stagione anche troppo ricca di scampoli e saldi, ma Vicario spera che soffi un vento favorevole dal pubblico.
Come hai scritto il soggetto di “Sottovento”?
Per me questo film ha un significato personale. A 19 anni, sono diventato adulto grazie all’incontro con il mare, e Sottovento parla di un gruppo di ragazzi borderline che si riconciliano col mondo proprio andando per mare. Un giorno, nel ’95, mia moglie mi porta un trafiletto di giornale su un esperimento del governo norvegese, che aveva fatto restaurare una grande barca per far fare terapia di gruppo agli adolescenti a rischio. Così abbiamo cominciato a pensare al film.
E in Italia? Esistono realtà del genere?
Sì. A Genova c’è il Consorzio Agorà, dove lavora Maurizio Bielli, che dall’84 usa la vela come strumento di recupero sociale. Il mare è trasformazione, è taumaturgico. Proprio questo ho voluto mostrare nel mio film. Anche se nel finale, che alcuni interpreteranno come un happy end, c’è una sfumatura amara. La barca a vela ti salva, ma legandoti a sé, a una piccola comunità.
Com’è stata la tua prima regia?
Bella ma dura. In certi momenti mi sarei buttato in acqua con un’ancora legata ai piedi, perché il mare dominava completamente il set, e spesso ci costringeva a cambi di scena e inquadrature. La troupe e il cast hanno dato moltissimo, e anche la montatrice, Luciana Pandolfelli, un’esordiente come me. Con una barca come quella che avevamo noi, è un po’ come essere in Formula 1: se sbagli, non solo fai grossi danni ma ti fai anche male. In certi momenti, ho avuto veramente paura.
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