CANNES – Un applauso ad oltranza ha accolto Marco Bellocchio all’anteprima di Marx può aspettare (l’intervista) – il 15 luglio al Palais du Festival -, ritratto sincero, delicato, non edulcorato, della sua biografia famigliare, nel cui cuore batte il dolce ricordo, così come il senso di colpa, per non aver compreso il male oscuro del gemello Camillo, suicida a 29 anni.
L’accoglienza testimonia quanto Bellocchio fosse atteso lui prima ancora del film: uno scroscio il battito di mani del pubblico in sala all’ingresso del maestro piacentino, non senza emozione; dopo quasi 10 minuti d’applausi, interrompendoli lui stesso, ha preso la parola: “Se questo che avete visto vi ha emozionato vuol dire che c’è qualcosa che esce dalla casa Bellocchio e arriva a tutti…”.
Un amore corale da parte dalla stampa italiana per Marx può aspettare, uscito in sala in Italia il 15 luglio stesso, e accolto con consenso anche da “Variety”: “Il bisogno di comprendere piuttosto che di assolversi è il filo che percorre questo potente documentario”.
Sono passate 48 ore da quell’applauso indimenticabile, che un altro subito l’ha eguagliato nell’intensità: nel Grand Théâtre Lumière, durante la cerimonia di premiazione del 74mo Festival di Cannes, Marco Bellocchio è stato insignito con la Palma d’onore – consegnatagli da Paolo Sorrentino – riconoscimento per cui, nei giorni scorsi, ha commentato alla stampa: “Il film e il Premio sono due cose unite ma anche molto separate, unite perché il direttore Frémaux è stato estremamente generoso, ha ammirato il film, però io palpito non tanto per la premiazione, per me anche un po’ faticosa, non è cosa nelle mie corde, ma per la proiezione con il pubblico: è un’esperienza a cui partecipo sentendomi anche più giovane, perché è inimmaginabile portare a Cannes un film così piccolo, nato per noi, per cui ringrazio Rai Cinema, che ci fa uscire in un buon numero di sale. Della Palma sono felice ma non lo considero un premio che mi ripaga, a Cannes ho già avuto grandi soddisfazioni: (sul palco) ricorderò senz’altro Michel Piccoli che ottenne la Palma per Salto nel vuoto, come Anouk Aimée”.
Sorrentino, sul palco qualche istante prima del Maestro di Bobbio, gli ha apertamente dedicato la lettura di una lettera, in italiano: “Ogni volta che lo incontravamo, terrorizzati dalla sua intelligenza, noi altri del cinema italiano provavamo a compiacere Marco Bellocchio. Un lavoro vano. Con grande cortesia, Marco Bellocchio opponeva al nostro corteggiamento un’umile indifferenza. Ma non era snobistica distanza, solo autorevolezza. Questo è apparso chiaro a tutti sin dal primo capolavoro di Marco, I pugni in tasca. Ci si trovava di fronte a una voce autorevole. E non ha mai smesso di esserlo nel corso della sua lunga carriera. Marco Bellocchio è tutto quello che un regista dovrebbe essere: appartato, discreto, lontano dall’egocentrismo, curioso dell’altro. Gli uomini curiosi non hanno tempo per elencare aneddoti sulla grandezza dei loro film. Sono sempre intenti a conoscere il mondo e a porsi domande. Ultimamente ho avuto il privilegio di frequentarlo di più e confesso che resterei ore a fissare la sua vitalità da ragazzo, il suo candore, la sua padronanza di un umorismo sono in apparenza involontario. Ma soprattutto, quello che mi rende curioso in maniera morbosa nei suoi confronti, è la sua sotterranea inquietudine. Perché, a mio parere, è questa inquietudine che rende grande il suo cinema. Fare grande cinema è il risultato di una lunga guerra, che un autore ingaggia con sé stesso. Ogni nuovo film di Marco Bellocchio è un ‘emozione, perché mi pone sin dai titoli di testa questa bellissima domanda: in quale fase della guerra si trova Bellocchio? La sua ribellione, che Thierry Frémaux ha sottolineato motivando questo premio è, secondo me, una lunga, necessaria, meravigliosa ribellione con e contro sé stesso. Tutto questo, fortunatamente, la Francia e il Festival di Cannes lo hanno compreso e riconosciuto, conferendogli la Palma d’Oro Onoraria, che oggi va al più importante e giovane regista che abbiamo in Italia: Marco Bellocchio.”
Dopo queste accorate parole, l’ingresso di Marco Bellocchio, occhi lucidi e braccia conserte, come a proteggersi in un abbraccio a se stesso, a conferma – come dallo stesso ammesso a prescindere: “non è cosa nelle mie corde” – del non sentirsi del tutto a proprio agio in una circostanza così. “Grazie, continuiamo a parlare in italiano (dopo Sorrentino). Non ho più nulla da dire… da aggiungere… Desidero ringraziare il Festival e un grande direttore, anche un amico, Thierry Frémaux. Volevo condividere questo premio con una serie di persone, coloro che fanno parte anche della mia famiglia allargata – elenca sorelle, fratelli e figli –, tra cui Simone (Gattoni, co-produttore), una sorta di figlio adottivo. Sicuramente mi dimentico qualcosa, sono molto emozionato ma volevo onorare la memoria di Michel Piccoli, con cui ho lavorato splendidamente, che proprio nel Palais che non esiste più, con la bella e grande Anouk Aimée, sono stati vincitori della Palma per le Migliori Interpretazioni per Salto nel vuoto. Venendo qui ho pensato che le buone, riuscite, cose che ho fatto, hanno sempre combinato due concetti: l’immaginazione e il coraggio. L’una e l’altro sono necessarie nel nostro mestiere. Il pittore dipinge in casa, lo scrittore pure… Il regista deve avere coraggio. Mi accorgo che le cose di cui sono più soddisfatto sono state fatte con un atto di coraggio: se l’ispirazione non si scontra con una realtà che spesso è ostile, che si oppone, non può trasformarsi in immagine. E basta, grazie”.
Il film è una produzione Kavac Film, Ibc Movie, Tender Stories con Rai Cinema, in collaborazione con Fondazione Cineteca Bologna, opera realizzata in collaborazione con Regione Lazio Fondo per il Cinema e l’audiovisivo, produttore esecutivo Michel Merkt e Alessio Lazzareschi, coprodotto da Malcom Pagani e Moreno Zani, prodotto da Simone Gattoni e Beppe Caschetto.
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