Sorrentino punta alle nomination: “Ma l’Italia è una grande fonte di storie”


Forte di un record di vendite in tutto il mondo, con l’unica eccezione della Cina, This must be the place, il film “americano” di Paolo Sorrentino esce nelle nostre sale il 14 ottobre, in 300 copie. Ma già guarda alla campagna americana per l’Oscar che potrebbe partire prestissimo se Harvey Weinstein riuscirà a organizzare un’uscita negli States. Basta una settimana in almeno due città e il gioco è fatto. “L’accordo con Weinstein è molto recente e comporta una serie di negoziazioni anche legali. Bisogna capire se ci sono i tempi tecnici per l’uscita entro dicembre, ma lui è seriamente intenzionato e ha stanziato una bella cifra”, chiarisce Nicola Giuliano, uno dei produttori con Indigo. Gli altri sono Lucky Red, Medusa, Intesa Sanpaolo che ha realizzato qui il primo esempio di tax credit operativo con un bello stanziamento di circa 2 mln di euro. Quindi sono entrati anche i francesi e gli irlandesi. “La coproduzione tutta europea – spiega Andrea Occhipinti – è servita a salvaguardare il final cut di Paolo. Le coperture finanziarie sono arrivate grazie alla presenza di una star internazionale come Sean Penn, ma anche al prestigio di Sorrentino, perché Penn da solo non basta”. Non basta, però fa molto. E non solo perché ha vinto due Oscar ed è anche un ottimo regista. “E’ un attore in grado di far tutto – racconta Sorrentino – quasi pericoloso perché senti che lui può reggere qualsiasi cosa e questo non ti limita. Al personaggio di Cheyenne ha portato moltissimo, per esempio la voce in falsetto, ma anche il modo di camminare strascicato, che lui considera tipico dei ricchi che si sentono in colpa di esserlo diventati”.

Certo, la sua presenza, sommata a quel titolo (preso di peso da una canzone dei Talking Heads) e quelle location danno da pensare a qualcuno che il film sia poco “italiano”. Ma viene subito tacitato dal cineasta napoletano. “È italiano perché l’abbiamo fatto noi italiani: regista, sceneggiatore, produttori, direttore della fotografia. Cosa sia l’italianità non so”. Aggiunge lo sceneggiatore Umberto Contarello: “La domanda giusta da fare è: in cosa si vede che questo è un film di Paolo Sorrentino? La risposta è: in tutto”.

In concorso a Cannes, This must be the place è un film su cui è stato già detto tutto o quasi. Ma c’è ancora chi si lascia sopraffare dalla grande ricchezza visiva e di temi che lo attraversa, dall’Olocausto alla ricerca del padre perduto. “Da spettatore – dice Sorrentino, che schiva i riferimenti alla sua biografia – penso che un film sia proprio l’occasione per mettere molta carne al fuoco. In questo caso c’erano per noi molti elementi di interesse: raccontare l’assenza di un rapporto affettivo tra padre e figlio, parlare, sebbene per squarci, dell’Olocausto dal punto di vista di un uomo contemporaneo, raccontare la musica con la presenza di David Byrne e con il personaggio della rockstar in disuso. Per farlo ho scelto una struttura meno frequentata al cinema, quella in due atti. Per chi non la ama, è come assistere a due film diversi”.

 

L’Olocausto è un terreno accidentato, Sorrentino sa bene che l’argomento è inesauribile e lascia sgomenti. “Sarebbe errato e presuntuoso dire che This must be the place è un film sull’Olocausto, però si muove su quello sfondo, un evento di enorme portata storica, il più grande punto di osservazione sul comportamento umano e le sue degenerazioni. Credo di portare un piccolo contributo insieme a tutti gli altri film che sono stati girati e a tutti gli altri libri che sono stati scritti. Ma è un argomento di tale complessità che trovare una spiegazione univoca è davvero impossibile. Wiesenthal, il cacciatore di nazisti, cercava di semplificare dicendo che l’origine dell’antisemitismo di Hitler stesse nel fatto che una prostituta ebrea l’aveva contagiato di una malattia venerea. Ma nessuno, neanche gli storici più accreditati, hanno trovato una ragione univoca”. Per Contarello è anche, soprattutto, un romanzo tardivo di formazione: “Cheyenne impara qualcosa di qua e di là, è come un analfabeta perché ha passato anni a suonare e girare il mondo”. “Sì, romanzo tardivo di formazione mi piace – dice il cineasta, anche scrittore con Hanno tutti ragione – rispetto al Divo volevo stare sul binario della semplicità, quella espressa in un’invenzione rivoluzionaria come il trolley, la valigia con le ruote… Il Divo creava sempre nuove aperture dentro i misteri della storia italiana, This must be the place è stato una lussuosa, bella vacanza”. Vacanza da ripetere, con una carriera internazionale servita? “Non lo so – si schermisce Sorrentino – la realtà italiana è sempre foriera di novità, per chi fa il nostro lavoro rappresenta un serbatoio ricco e il cinema italiano è destinato a diventare molto più importante di adesso, quando se lo potrà permettere”.

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06 Ottobre 2011

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